Continua la polemica politica e sociale sul ddl Zan: la proposta di legge contro l’omotransfobia e la misoginia è divisiva e strumentalizzata. Ma come è compresa dalla collettività? Lo abbiamo chiesto.
Omotransfobia, misoginia, definizione di genere, reati commessi in ragione del sesso, del genere, dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere: i temi su cui entra nel merito il ddl Zan sono senza dubbio delicati, e fortemente divisivi. Un dibattito che da politico si è fatto anche sociale: o meglio, che è tornato alla società, che l’ha prodotto come dinamica affidando alla politica il compito di gestirlo.
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Ma come ormai purtroppo è quasi consuetudine, la politica riesce sempre meno a fare una sintesi, ottenendo invece grandi risultati nell’accentuare le divisioni, strumentalizzandole a fini elettoralistici. Cosa che, su un tema così delicato ed oggettivamente complesso da gestire, rischia di creare effetti devastanti.
Lo scontro ormai è innescato, e coinvolge sempre più protagonisti della vita sociale e politica del paese. La recente presa di posizione del Vaticano ha reso ancora più infiammato il dibattito, che vede sempre più soggetti esprimersi. Per alcuni non c’è bisogno di una tutela così “rinforzata” per quel tipo di diritto: anzi, il rischio è di limitare ulteriormente la libertà di espressione. Ma per altri invece c’è un problema di discriminazione e di violenza molto forte, che la cronaca andrebbe a confermare.
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Ma i diritti che il ddl Zan intende difendere, il senso generale del provvedimento, il modo con cui la proposta viene presentata, come vengono percepiti dalla collettività? Abbiamo iniziato a chiederlo agli italiani. Nel servizio di Agnese Peccianti alcune risposte.