Gli impianti della ex Ilva di Taranto riprenderanno a rilasciare emissioni inquinanti. La sentenza del Consiglio di Stato, mercoledì, ha infatti cancellato lo stop che era stato definito dal Tar di Lecce. Il sindaco della città, Rinaldo Melucci, tuttavia, si oppone e minaccia di ricorrere alla Corte Ue per i diritti umani al fine di difendere la salute dei propri concittadini.
Il Consiglio di Stato ha deciso di non bloccare gli impianti della ex Ilva di Taranto, sotto accusa per le emissioni inquinanti. È stata per cui cancellata la sentenza del Tar di Lecce che aveva determinato lo stop. L’area a caldo, dunque, continuerà la propria attività produttiva. Il sindaco Rinaldo Melucci, che era stato il primo ad interrompere le procedure con una ordinanza, si oppone a tale dietrofront. A seguito della notizia ha annunciato che potrebbe rivolgersi alla Corte dell’Unione Europea per i diritti umani al fine di preservare la salute dei suoi concittadini. La questione, ad ogni modo, non sembrerebbe essere destinata a risolversi in breve tempo.
Il sindaco Melucci sull’ex Ilva
Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto, ha commentato con toni contrariati la sentenza emessa dal Consiglio di Stato sulla ex Ilva. “Credo che i giudici abbiano avuto un approccio superficiale derubricando troppo grossolanamente gli aspetti innovativi della sentenza del Tar di Lecce relativi alla salute dei cittadini. Questa comunità ha sofferto tanto e ora sembra che qui non ci siano criticità, non ci si ammali. Come se i dati prodotti non fossero oggettivi“, ha detto in un’intervista a Il Fatto Quotidiano. Il primo cittadino, inoltre, ha illustrato le ragioni per cui la città si oppone al funzionamento dell’area calda degli impianti. “Sappiamo che le decisioni della Cedu non hanno un impatto immediato sulla vita di una comunità, ma lo facciamo per due motivi. Il governo non può parlare sui palcoscenici internazionali di Green Deal e poi in casa portare avanti situazioni che sono fuori dalla civiltà e dai diritti. E poi serve mettere Taranto sul tavolo europeo perché la Commissione Ue vigili sui fondi assegnati all’Italia. Il Pnrr è stato emendato: non è più finanziabile la transizione ecologica dell’ex Ilva. Questi due motivi potranno spiegare chiaramente come l’Italia immagina il suo sviluppo”.
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Il Comune di Taranto ha annunciato dunque che non si arrenderà alla cancellazione dello stop. “Chiediamo la chiusura dell’area a caldo. Una vera transizione ecologica, non a parole. Vogliamo l’introduzione di un meccanismo sulla valutazione preventiva del danno sanitario e sulla base di quello parlare di occupazione e quote d’acciaio. La battaglia sarà finita quando sarà salvaguardata la salute. Oggi non lo è e la palla è in mano al governo: vogliamo rimanere un Paese in eterno declino che guarda gli altri Paesi evolversi o fare un salto di qualità a partire dalla siderurgia?”, ha proseguito Rinaldo Melucci. L’obiettivo, tuttavia, non è quello di danneggiare l’azienda. “Né l’amministrazione né la città ha mai chiesto la chiusura tout court. Vogliamo un’Ilva più piccola, più lontana dal centro abitato e soprattutto più moderna e sicura. C’è una parte importante della città che non vive dell’acciaio e che ne è danneggiata. Penso al porto, al turismo, all’enogastronomia”. Il sindaco di Taranto, a nome della città, ha per questa ragione espresso la volontà di favorire una economia maggiormente sostenibile, che non danneggi la salute della popolazione. “I tarantini hanno scelto altri modelli di sviluppo che abbiamo portato in questi anni, non sono più interessati al percorso dell’Ilva: fabbrica e città sono come separati in casa. E poi guardi, se quello stabilimento non cambia modello produttivo, sarà il mercato a chiuderlo. Non il sindaco, gli ambientalisti o i giudici: si fermerà perché non potrà competere con le fabbriche tedesche e svedesi che oggi si adeguano ai richiami dell’Europa per garantirsi l’accesso agli incentivi comunitari”, ha concluso.