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Politica

Ddl Zan, a che punto siamo dopo la nota del Vaticano

Dopo giornate di polemica e di tensione a seguito della nota del Vaticano rivolta allo Stato italiano, l’atmosfera politica intorno al Ddl Zan sembra ancora incandescente. Intanto dal Vaticano arrivano le prime specificazioni sul senso della nota. Il punto della situazione per capire a che punto siamo e come sta evolvendo il dibattito sulla proposta di legge. 

MeteoWeek.com (da Getty Images)

La nota verbale del 17 giugno proveniente dal Vaticano e rivolta allo Stato italiano continua a scuotere il dibattito politico italiano all’interno delle Aule. Non è bastata la presa di posizione ufficiale di Mario Draghi in Aula, che ha ribadito l’indipendenza del Parlamento italiano e il rifiuto di ogni ingerenza. La situazione resta delicata e lo dimostrano le tante dichiarazioni emerse nelle ultime ore. A cominciare dalla Chiesa. Sono diversi i retroscena illustrati dai principali giornali italiani a proposito dell’origine della nota: alcuni credono che Papa Francesco sia stato vittima di un’imboscata da parte della Curia, o che comunque non abbia partecipato attivamente alla promozione della nota verbale (viste le sue passate posizioni di apertura), alcuni credono che Papa Francesco fosse pienamente consapevole dell’importanza della nota, altri ancora credono che la situazione sia molto più grigia, e riguardi un continuo rapporto di forza interno e delicato tra Curia e Papato. A fornire una versione ufficiale della faccenda è stato il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che a Vatican News ha ribadito che il Papa era stato informato della nota verbale, glissando sul grado della sua partecipazione nel promuovere l’iniziativa: “Il principio è che di tutto quello che si fa si informano sempre i superiori“, ha osservato Parolin.

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La versione della Chiesa

Poi Parolin avrebbe ribadito che “non è stato in alcun modo chiesto di bloccare la legge. Siamo contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale, come pure della loro appartenenza etnica o del loro credo”. La preoccupazione intorno al Ddl Zan, ribadisce il cardinale, “riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti. In assenza di una specificazione adeguata si corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo”. Poi, parlando della Cei, il cardinale dice che “c’è piena continuità di vedute e di azione: non ha chiesto di bloccare la legge, ma ha suggerito delle modifiche. Così anche la Nota Verbale si conclude con la richiesta di una diversa ‘modulazione’ del testo. Discutere è sempre lecito. Infine, un’ultima nota su quanto affermato da Draghi: “Concordo pienamente con il Presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento italiano. Per questo si è scelto lo strumento della Nota Verbale, che è il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali”. 

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La politica sul Ddl Zan

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Mentre Parlamento, governo e Chiesa interloquiscono per evitare o smentire eventuali ingerenze, all’interno delle Aule la tensione sale sempre di più. Questa volta anche da parte del Pd: il segretario del partito Enrico Letta ha affermato che il confronto in Parlamento ci sarà, ma “l’offerta di dialogo della Lega non è credibile dopo l’ostruzionismo totale di questi mesi”. Poi ancora, un attacco al tentativo “strumentale per far impantanare il provvedimento. In ogni caso la prima cosa è votare l’approdo del ddl Zan in aula. L’ipotesi di arrivare a un testo condiviso diverso da quello che ha avuto il via libera della Camera è altamente improbabile”. Poi un appello a Italia viva: “La strada maestra è approvare il testo senza modifiche, senza riaprire alcun fronte. Con i voti di Iv la maggioranza c’è”.

La prima data è quella del 6 luglio, quando il Senato dovrà votare sulla calendarizzazione del testo per mercoledì 13. A favore sembrano intanto esserci i voti di Pd-Leu-M5S-Autonomie-Iv. Se l’asse dovesse tenere, i voti necessari dovrebbero esserci. I primi indizi in merito dovrebbero arrivare lunedì 5, al tavolo dei capigruppo di maggioranza a Palazzo Madama convocato dal presidente leghista della commissione Giustizia Ostellari, che promette di trovare “un approdo condiviso” dopo la stasi dovuta alle tantissime audizioni. L’invito a creare immediatamente un tavolo sarebbe arrivato anche dal capogruppo Dem in commissione giustizia Mirabelli: “Ora che abbiamo una data certa per l’aula siamo pronti a sederci al tavolo del dialogo, Ostellari lo convochi”. Un appello al quale il senatore leghista ha risposto ribadendo di esser pronto a collaborare da tempo.

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Per Salvini c’è apertura al dialogo e nessuna ingerenza della Chiesa

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Allo stesso modo, anche Matteo Salvini sottolinea la piena disponibilità al dialogo, una disponibilità alla quale Letta crede poco: “Io sono pronto, da Pd e Cinquestelle sento un silenzio assordante“, avrebbe ribadito il leader della Lega. Sto aspettando da giorni la chiamata di Letta che ha il mio numero perché polemiche di mesi sul ddl Zan possono essere superate in due minuti“. Poi, in merito alla nota del Vaticano, Salvini avrebbe risposto affermando che sul Ddl Zan “c’è la libertà di espressione, tutti possono parlare e il Vaticano e il santo Padre in primis, poi il Parlamento è sovrano. Se arriva una riflessione dal Vaticano non è un ordine ma qualcosa su cui riflettere“.

Per Salvini dunque non ci sarebbe nessuna ingerenza. O meglio: si potrebbe quasi dire che il Carroccio abbia intenzione di inglobare questa presunta ingerenza nelle sue richieste in merito al Ddl Zan. E infatti Salvini aggiunge: “Se, come richiesto anche dalla Santa Sede, al testo originale si toglie un po’ di ideologia, il tema che riguarda le scuole e i reati di opinione, la partita noi la chiudiamo in una settimana. Se invece qualcuno vuole andare avanti a fare ideologia e propaganda, mi viene il dubbio che non sia per difendere omosessuali lesbiche e trans ma per usarli, penso che non farebbe un buon servizio al Paese”. Verrebbe da dire che per togliere “l’effetto propaganda” sarebbe necessario discutere nelle aule, e non nei programmi televisivi. Una discussione bloccata da tempo proprio in Commissione giustizia al Senato, presieduta dal leghista Ostellari.

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