Scomparsa Sara Pedri, appello a ministro Speranza per «indagine su ospedale in cui lavorava»

Sara Pedri, ginecologa 31enne di Forlì, lavorava a Trento. È scomparsa dal 4 marzo scorso, si era dimessa da poco. Ipotesi suicidio. Famiglia e colleghi chiedono inchiesta su condizioni in cui lavorava in ospedale

Sara Pedri-Meteoweek.com

Sara Pedri, 31 anni, ginecologa di Forlì, è scomparsa dal 4 marzo scorso. La donna nel novembre 2020 aveva vinto un concorso ed era andata a lavorare all’ospedale Santa Chiara di Trento. In pochi mesi però, la ragazza, che amava il suo lavoro e aveva progetti col fidanzato inizia a star male. Perde peso, non risponde più alle chiamate. Decide di dimettersi dall’ospedale e sparisce nel nulla. Il 4 marzo la sua auto viene individuata nei pressi del ponte Mostizzolo, sul torrente Noce.

Intanto, però, il legale della famiglia fornisce un fascicolo alla procura, che ha aperto un’inchiesta senza ipotesi di reato né indagati. Ex dipendenti dello stesso reparto della 31enne denunciano un clima molto ostile, di paura e omertà in quell’ospedale. L’azienda sanitaria apre un’indagine interna ma la famiglia e i colleghi chiedo un’inchiesta”terza”. E si appellano al ministro della Salute, Roberto Speranza.

Tra le prime persone a chiedere di indagare sul reparto Ginecologia di Trento sono i familiari della donna, a partire dalla sorella Emanuela:«I carabinieri di Forlì, su delega della procura di Trento, hanno ascoltato me e mia mamma per cinque ore. Abbiamo ripercorso tutte le tappe della vita di Sara, da quando ha vinto il concorso in Trentino al giorno della sua scomparsa. Non mi aspetto che una commissione interna arrivi a scoprire la verità. Per andare davvero avanti ci sarebbe bisogno di una commissione esterna. Certo è che, fino ad ora, nessuno si è fatto sentire. Nessuna telefonata, né dall’ospedale tantomeno dall’azienda sanitaria».

Sara Pedri-Meteoweek.com

Nicodemo Gentile, legale della famiglia di Sara, spiega a Repubblica:«Vogliamo capire se ci sono elementi penalmente rilevanti, abbiamo presentato una memoria con dati oggettivi importanti. Non vogliamo la testa di nessuno, ma abbiamo la necessità di approfondire alcuni aspetti». Secondo Gentile, «il gesto estremo rappresenta l’ipotesi più qualificata e razionale. Sara era una ragazza piena di vita, senza particolari disagi emotivi e psichici».

Secondo gli elementi che possiede la famiglia, a Trento ci sarebbe stato «un ambiente estremamente complesso, difficile, con enormi tensioni e difficoltà che riguardavano Sara. Ma c’erano anche situazioni pregresse che vedevano protagoniste altre operatrici di quella struttura, con medici che si erano anche a rivolti ad avvocati. Il problema di Sara era legato al suo ambiente di lavoro. A Trento si era trasformata, stava male. Aveva perso peso, era in seria difficoltà. Non accusiamo nessuno ma c’è una pluralità di soggetti coinvolti».

Sara si era specializzata a Catanzaro e la sua tutor, la professoressa Roberta Venturella ha detto:«L’ho vista crescere, professionalmente e come donna. Era molto decisa, caparbia, con le idee chiarissime. Ci siamo sentite a fine gennaio per il mio compleanno. A febbraio molto meno. Ha quasi del tutto interrotto le conversazioni. Alcune colleghe rimaste a Catanzaro la invitavano ad andare giù qualche giorno per spezzare un po’ ma lei rispondeva che non le avrebbero dato i giorni liberi. Poi ha cominciato a non farsi più vedere più nelle videochiamate. Leggeva i messaggi solo la sera tardi. Il problema non può essere che lei lavorava in maniera intensa. Era abituata ai carichi pesanti. Io penso che debba essere successo qualcosa che l’ha turbata nelle motivazioni, nell’indole. Non era un tipo da mettersi in un angolo e piangere, quando aveva un’opinione la tirava fuori. Eppure negli ultimi tempi si sentiva nell’occhio del ciclone. Diceva ‘Qui la mattina è un’inquisizione’. Era diventata molto insicura. Mi auguro venga fuori questa storia e non ci si limiti a una commissione interna: cosa si può sperare che faccia? Sto cercando di chiedere che ci sia l’intervento del ministro, una commissione d’inchiesta esterna all’ospedale. Nessun accanimento, siamo colleghi e sappiamo cosa significa finire sui giornali ingiustamente». 

Durante la trasmissione “Chi l’ha visto” hanno fatto ascoltare i vocali che Sara inviava alla sorella nel periodo in cui lavorava a Trento. «Vedevo il quintuplo da quanto ero stanca», le racconta. «È stato un pochino di mobbing», spiega, quando una collega le “consente” di tornare a casa dopo un turno di lavoro. «Le colleghe mi hanno spiegato che qui pretendono che non mangi e non dormi, non hai una vita e lavori solo. Mi hanno detto che qui non devi parlare delle tue esigenze, non interessano a nessuno, anzi, interessano solo in negativo».

A febbraio Sara torna a Forlì e una visita medica attesta che è sottopeso e stressata. Il fidanzato ha sue notizie per l’ultima volta il 3 marzo, come scrive il Corriere della Sera. Lui le scrive “Ti amo” ma lei non risponde.

Si tratta di una vicenda molto complessa. Alcuni testimoni hanno raccontato di soprusi e violenze psicologiche. «A qualcuno hanno tirato i ferri chirurgici in sala operatoria», «venivi annullato anche per una cosa da nulla», «ti sentivi un incapace»,  sono solo alcune delle testimonianze anonime di chi lavorava in quel reparto di Ginecologia. Ora il primario è  in ferie forzate per decisione dell’azienda sanitaria in attesa di completare l’indagine interna.

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