Gli anticorpi prodotti nell’essere umano contro il Covid-19 potrebbero essere più duraturi di quanto inizialmente previsto, anche in caso di infezione naturale. Uno studio condotto dai National Institutes of Health (Nih), infatti, rivela che il 91% delle persone che hanno contratto il virus, dopo undici mesi, è ancora immune. La copertura conseguente alla somministrazione del vaccino potrebbe essere addirittura più alta.
La presenza di anticorpi contro il Covid-19 potrebbe essere più duratura rispetto alle stime iniziali, sia in caso di infezione ‘naturale’ sia in caso di somministrazione del vaccino. La notizia arriva al termine di uno studio condotto dai National Institutes of Health (Nih), il principale centro di ricerca medica pubblico negli Stati Uniti. In totale sono stati osservati 116 pazienti che avevano contratto il virus lo scorso anno. I risultati hanno rivelato che il 91% di questi ultimi, a distanza di undici mesi dal contagio, era ancora immune. Un livello consistente di anticorpi, infatti, è stato rinvenuto nel sangue. La durata della protezione potrebbe essere ancora più elevata in caso di vaccinazione. Altri studi, infatti, hanno dimostrato che la quantità di anticorpi generata dai sieri attualmente a disposizione sarebbe molto più alta rispetto a quella derivante dall’infezione ‘naturale’.
A illustrare i risultati dello studio condotto dai National Institutes of Health (Nih), in un’intervista rilasciata a La Repubblica, è stata Valeria De Giorgi, direttrice della sezione Malattie infettive. “All’inizio della pandemia siamo stati colti di sorpresa. Non sapevamo nulla del coronavirus, non sapevamo come trattare i pazienti. A marzo-aprile del 2020 abbiamo provato a usare il plasma dei guariti, ma avevamo bisogno di conoscere quanti anticorpi avevano sviluppato. Così, all’arrivo dei primi test, abbiamo imparato a misurarli. I donatori sono stati fantastici. In 116 hanno eseguito tutti i prelievi periodici, così abbiamo descritto l’andamento dei loro anticorpi. Un’osservazione di 11 mesi è una delle più lunghe che abbiamo”, ha spiegato.
Lo studio è stato fondamentale al fine di comprendere quanta durata abbia l’immunità derivante dall’infezione naturale. “Più del 91% dei volontari ancora oggi ha anticorpi. Il 73% ha anche gli anticorpi neutralizzanti capaci di bloccare il virus. Questo nonostante il 90% dei nostri donatori fossero stati malati in modo lieve, cosa che sembra associata a un declino degli anticorpi più rapido”. È da sottolineare, tuttavia, che il livello in cui gli anticorpi sono presenti nel sangue dei pazienti varia da persona a persona. Non è chiaro, tuttavia, da cosa dipendano tale variazioni. “Una domanda simile è stata rivolta qualche giorno fa ad Anthony Fauci e lui ha risposto semplicemente: ‘No‘. Abbiamo donatori che provengono dalla stessa famiglia, hanno avuto lo stesso quadro clinico, ma con valori di anticorpi molto diversi. Abbiamo osservato una correlazione positiva tra anticorpi, età e obesità. Non sappiamo nemmeno qual è il minimo che ci permette di essere protetti”.
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Una certezza, ad ogni modo, riguarda l’iter attraverso cui i pazienti perdono l’immunità. “Quel che vediamo è che la quantità di anticorpi decresce col tempo e chi parte da valori più alti ha una risposta più lunga nel tempo”. In tal senso, a risolvere il problema, adesso è il vaccino contro il Covid-19, che in base ai primi studi genererebbe una produzione di anticorpi ancora più efficace. “La quantità di anticorpi generata dai vaccini sembra molto più alta rispetto all’infezione naturale. I nostri donatori, ammalatisi un anno fa, sono stati anche vaccinati. I loro anticorpi sono salili moltissimo”, ha confermato la dottoressa Valeria De Giorgi.
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