Stando al quadro della Supermedia Agi/YouTrend, Lega, Fdi e Pd si trovano in un arco del 2,2%. Questo vuol dire che, considerando un margine di errore medio di circa il 3%, nei prossimi sondaggi potremo aspettarci un diverso posizionamento dei partiti in testa. Ecco perché l’individuazione del “primo partito italiano” è una partita ancora aperta.
Il quadro abbastanza precario viene tratteggiato da Supermedia Agi/YouTrend e traccia i contorni di una situazione ancora tutta da definire: Lega, Fdi e Pd si trovano in un arco del 2,2% che – in un contesto in cui il margine di errore medio delle singole rilevazioni resta intorno al 3% – non consente di decretare un posizionamento più o meno definitivo di nessuno dei tre partiti. Per questo ogni eventuale superamento di Fdi ai danni della Lega sembra momentaneo, per questo ogni dichiarazione vittoriosa sul fatto di essere il primo partito italiano al momento lascia il tempo che trova. Certo, all’interno di questo quadro è comunque possibile analizzare i trend di crescita e calo. La Lega, ad esempio, ha ripreso effettivamente a calare di mezzo punto dopo un mese di stabilità.
Lega, Fdi e Pd: i numeri
Più nello specifico: la Lega è al 21,0% (-0,5%), seguita da FdI al 19,6% (+0,2%), dal Pd al 18,8% (=), da M5s al 16,1% (-0,3%), da Forza Italia al 7,4% (+0,1%), da Azione al 3,1%(+0,2), da Italia Viva al 2,6% (+0,3%), da Sinistra Italiana all’1,9% (-0,3%), dai Verdi all’1,8% (=), da Art.1-Mdp all’1,8% (+0,1%) e da +Europa all’1,5 (-0,1%). Per quanto riguarda le alleanze di maggioranza, l’alleanza giallorossa (Pd, M5s, Mdp) registra allora un 36,7%, mentre quella di centrodestra (Lega, Fi, Toti) un 29,6%. Lo scenario cambia se invece si guarda non alle alleanze di maggioranza, ma alle possibili alleanze delle prossime elezioni. In questo caso il fronte di centrodestra, con Fdi dentro, raggiungerebbe un 49,3%, a fronte di un 26,04% del centrosinistra, di un 16,1% (-0,3%) di M5s di un 3,7% (-0,2%) di Leu. Le altre liste raccolgono complessivamente il 4,9% (+0,1%). Molto dipenderà, quindi, dall’eventuale creazione di un’alleanza tra Pd e M5s, un asse che però stenta a consolidarsi e che anzi – stando alle ultime dichiarazioni – potrebbe esser andato incontro a un altro raggelo.
Oltre i numeri
Ma cosa emerge da dati di questo tipo? Il primo elemento che balza all’occhio è una frammentarietà di fondo tra i diversi partiti, anche i più grandi: nessuno di loro riesce a raggiungere la soglia del 30%, la soglia che consentirebbe loro di ottenere un ruolo preminente non solo all’interno del panorama italiano, ma anche all’interno della coalizione. Una situazione anomala, se si considera che negli altri paesi europei (come Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna) le rilevazioni di voto attestano i principali partiti sempre intorno al 30%. In Italia, invece, si assiste alla presenza di tre partiti relativamente forti ma anche relativamente indeboliti dalla reciproca vicinanza. Il rischio – è evidente – è una instabilità di fondo non solo nei sondaggi, ma anche nella realtà.
Tutto questo senza considerare che un restante 20% delle preferenze di voto viene poi spacchettato in tanti partiti più o meno minori, da Azione a Italia viva. E tutto questo senza contare il blocco di 30-35% di non votanti che opta per l’astensione dal voto, che i partiti non riescono a far riaffezionare, e che potenzialmente potrebbe esser determinante per evitare lo stallo alla messicana dato da questi numeri. Insomma, se la situazione non cambia siamo di nuovo, ancor più di prima, di fronte un’impasse: i partiti indeboliti saranno costretti a consolidare le alleanze per portare avanti un fronte comune (il classico centrodestra vs centrosinistra) ma precario: se si trovano in una posizione quasi paritaria la lotta interna si inasprisce, sia dentro che fuori la coalizione.