L’ex-premier minimizza il rapporto tra M5S e Pd, se non si dovessero presentare insieme alle elezioni “non mi straccio le vesti” dichiara. Una relazione complicata che rischia di finire prima del previsto.
A forte rischio l’alleanza tra Pd e M5S. Giuseppe Conte, oggi capo del “nuovo” Movimento 5 Stelle, ha parlato di “nessuna alleanza strutturata” e se alle elezioni amministrative non si troverà la quadra “non mi straccio le vesti“. Modo elegante per dire che in fondo, ai 5 Stelle, andare avanti per la loro strada in questo momento conviene, se no altro per provare a ritrovare una identità persa in questi 3 anni trascorsi stabilmente al governo con alleati di governo di ogni colore e provenienza.
Il dialogo con il Pd “ha dato già i suoi frutti, è normale continuare – spiega Conte – per realizzare il progetto di società che vogliamo“. Ma i problemi non mancano, a iniziare dal trovare candidati comuni. A Napoli, con Gaetano Manfredi, si può. Ma a Roma, Torino e Milano è impossibile e nei primi due casi la sensazione è che i due alleati di governo si faranno la guerra nei comizi in piazza e in tv. “Questo non significa che abbiamo un’alleanza strutturata – aggiunge non a caso l’avvocato -. Laddove non sia possibile non mi straccio le vesti, perché le fusioni a freddo non funzionano“.
LEGGI ANCHE: Meloni archivia la federazione centrodestra. E su Draghi c’è “troppa continuità col governo precedente”
Quando il segretario del Pd era Nicola Zingaretti, il governo giallorosso era nato proprio per dare uno sbocco elettorale a una maggioranza puramente parlamentare. Il passaggio di consegne con Enrico Letta ha dato nuova baldanza dialettica al Nazareno e non a caso mentre il Movimento, alle prese con beghe burocratiche e giudiziarie, proseguiva la sua corsa al ribasso nei sondaggi, i dem hanno incamerato ossigeno e c’è chi come l’Ipsos di Nando Pagnoncelli assegna loro il ruolo di primo partito con il 20,8 per cento. Un primato che mancava dal 2017. La nuova posizione di forza (non è un caso che l’anti-Salvini non sia più Di Maio e nemmeno Conte, ma Letta) da un lato regala nuove speranze al centrosinistra alle elezioni amministrative, ma dall’altro mette i 5 Stelle in posizione subordinata. Troppo, e da qui nasce la rivolta di Conte.