Il Corriere della Sera ha intervistato Marco Meletti, direttore della Comunicazione del gruppo Battistolli, la ditta che ha subito l’attacco.
Il racconto di chi ha saputo resistere a un assalto in autostrada. È quanto emerge dall’intervista fatta a Marco Meletti, direttore Comunicazione e Marketing del gruppo Battistolli, dal Corriere della Sera. La ditta con sede a Vicenza ha subìto un assalto lunedì 14 giugno, lungo l’autostrada A1, nel tratto tra Modena e San Cesario. Un gruppo armato ha messo a ferro e fuoco l’autostrada e ha colpito con un kalashnikov il furgone blindato che trasportava 2 milioni di euro, e le tre guardie giurate. Si tratterebbe di almeno 12-15 persone legate a gruppi criminali di bande specializzate del sud Italia. Molto probabilmente, provenienti dalla Puglia. Ma come hanno fatto a resistere?
Innanzitutto, il direttore della Comunicazione ci ha tenuto a chiarire che i dipendenti stanno bene. “Adesso i nostri dipendenti stanno meglio. Sono sotto choc, ovviamente saranno a riposo fino a quando non si saranno ripresi da questa brutta esperienza, ma fisicamente possiamo dire che è andata bene”, ha raccontato Meletti. Poi ha spiegato che ha rendere un successo la difesa è stata anche l’esperienza. Non è la prima volta, infatti, che la ditta subisce un assalto. “In media possiamo dire che succede un tentativo di rapina simile ogni due-tre anni. Ma l’esito finale non nasce dal caso. Dietro ci sono investimenti e preparazione”, ha detto al Corriere.
Grazie a questi due fattori, viene garantita – almeno fino a un certo punto – la sicurezza di chi viaggia sul portavalori. Lo ha chiarito sempre Meletti: “I punti chiave dei furgoni sono la cabina di guida e il caveau. La normativa prevede che abbiano la capacità di attutire colpi fino a un calibro 9, quelli visti in autostrada a Modena e che utilizziamo resistono anche ai kalashnikov, come si è evidenziato. È una questione di spessori e materiali usati. Inoltre sono mezzi costantemente monitorati con i satelliti e in continuo contatto con una sala operativa che a sua volta è in contatto con le forze dell’ordine. Chi è davanti allo schermo controlla tutto da remoto”. In più, c’è il monitoraggio da parte delle Questure, che sono informate del transito di carichi di questo tipo.
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Poi c’è Spumablock, un dispositivo che – in caso di emergenza – rilascia immediatamente una sostanza che trasforma i valori trasportati in un unico blocco molto pesante. Ha continuato a raccontare Meletti: “Il carico che hanno cercato di prendere attualmente si trova in quello stato. Successivamente solo la ditta produttrice ha a sua disposizione una sostanza sbloccante per riportare il carico allo stato iniziale”. In quelle condizioni, rubare il denaro non sarebbe solo difficile, ma anche inutile.
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Infine, ma non per ordine d’importanza, c’è la preparazione della componente umana. Cioè i dipendenti della ditta. “Di solito sono sempre tre gli operatori presenti sul blindato. Uno deve sempre rimanere alla guida, un altro fa la bonifica quando si arriva a destinazione e verifica che non ci siano pericoli. Un altro si occupa del trasporto dei valori. La preparazione e lo studio sono molto importanti”.
“Se sai che il mezzo in cui ti trovi ti proteggerà, non commetterai l’errore di esporti a rischi abbandonando il furgone. Si finirebbe sempre in mano a persone armate. Ho letto che qualcuno segnalava la mancanza di una scorta, ma bisognerebbe conoscere le norme. Sotto alcune somme non è prevista la scorta, che invece era presente in altri casi. La cosa che ci teniamo a sottolineare è che nulla viene lasciato al caso“, ha concluso Meletti.
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