In Bangladesh un bambino appartenente al gruppo etnico rohingya al mese muore annegato in un campo profughi. Il drammatico bilancio è stato denunciato attraverso uno studio condotto dalla Ong Migrant offshore aid station (Moas). Le vittime hanno tra i 2 e i 17 anni e sono per lo più maschi. L’Onu, al fine di contrastare tale fenomeno, ha anche istituito una giornata dedicata al tema.
Un drammatico studio del Moas rivela che un bambino appartenente al gruppo etnico rohingya al mese in Bangladesh muore annegato in un campo profughi. In totale negli ultimi due anni le vittime sarebbero state almeno 20, di cui il 70% maschi ed il 30% femmine. La loro età è variabile dai 2 ai 17 anni. Il 30% sono bambini sotto i 5 anni, mentre il 70% è in età scolare. I pericoli si celano in diverse tipologie di corsi d’acqua: il 60% dei decessi si è verificato negli stagni, il 15% in canali di scolo, il 10% in pozzi e il 5% in un lago oppure in un bacino idrico. Nonostante le difficoltà, tuttavia, i piccoli e le loro famiglie, sopravvissuti alle atrocità in Myanmar, sono costretti a vivere nei campi profughi, almeno finché i loro diritti umani non verranno riconosciuti.
L’allarme del Moas sui bambini annegati in Bangladesh
“L’annegamento è la principale causa di mortalità infantile in Bangladesh e richiede un intervento urgente. Attraverso questa ricerca Moas vuole promuovere una maggiore consapevolezza sui rischi di annegamento tra i bambini rohingya nei campi profughi del distretto di Cox’s Bazar affinché vengano messe in atto adeguate strategie di prevenzione su scala più ampia. I volontari, formati nei campi, sono in grado di intervenire in caso di emergenze legate all’acqua e quindi salvare vite umane, comprese quelle dei bambini“. Lo ha detto la direttrice di Moas, Regina Catrambone.
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“Ci auguriamo – ha concluso – che un simile addestramento salvavita rivolto ai bambini possa essere implementato in futuro, insieme ad altri interventi preventivi, come l’installazione di recinzioni e barriere intorno alle pozze d’acqua non sicure, una maggiore supervisione e l’insegnamento ai bambini in età scolare di nozioni sulla sicurezza dell’acqua e sulle abilità di salvataggio”.