La Cina accusa il G7 di “manipolazione politica e interferenza”. Cosa accade?

Il G7, come prevedibile, non è stato semplicemente un incontro di coordinazione tra le principali potenze occidentali, ma si è trasformato in un confronto per cercare di arginare la superpotenza della Cina. A tutto questo la Cina risponde accusando il G7 di “manipolazione politica” e “interferenza“.

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Sono finiti i giorni in cui un “piccolo gruppo di Paesi” decideva il destino del mondo: è questo il commento del portavoce dell’ambasciata cinese a Londra rivolto al vertice G7 a Carbis Bay, in Cornovaglia, riportato da Reuters. “Noi crediamo che i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, poveri o ricchi, siano tutti uguali, e che gli affari del mondo devono essere gestiti attraverso la consultazione tra Paesi“, ribadisce Pechino smorzando i toni delle accuse. Come prevedibile e come previsto, il G7 si è effettivamente trasformato in un incontro di coordinamento tra potenze occidentali per arginare lo strapotere della Cina.

Il Dragone è dunque rimasto tema caldo al centro di ogni discussione: dai rapporti commerciali (con l’intento di arginare l’influenza della via della Seta) all’intenzione di portar avanti i dossier sull’origine del virus, per finire con gli impegni sul clima, fino alla difesa dei diritti umani. E proprio su quest’ultimo punto, per parte sua la Cina ha accusato il G7 di “manipolazione politica” e interferenza nei propri “affari interni“, alla luce della posizione espressa dal Gruppo sulla questione dei diritti umani nello Xinjiang e ad Hong Kong. “Il G7 sfrutta le questioni relative allo Xinjiang per dedicarsi alla manipolazione politica e interferire negli affari interni della Cina, ci opponiamo fermamente“, ha fatto sapere un portavoce dell’ambasciata cinese nel Regno Unito. Cosa sta accadendo?

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Un fronte unito, quello atlantico

Sin dalla formazione del governo sono stato molto chiaro che i due pilastri della politica estera italiana sono l’europeismo e l’atlantismo, ha affermato Draghi dopo il colloquio con Biden. E qui sta il senso degli incontri del G7 avvenuti in questi giorni: rafforzare l’atlantismo, il fronte occidentale, per confrontarsi con una voce (più o meno) unica con la strapotenza cinese, in un momento che – per questioni climatiche, sanitarie ed economica – richiederà una cooperazione di scala globale. “Il tema politico dominante” – ha detto Draghi – “è stato quale atteggiamento debba avere il G7 nei confronti della Cina e in generale di tutte le autocrazie, che usano la disinformazione, i social media, fermano gli aerei in volo, rapiscono, uccidono, non rispettano i diritti umani, usano il lavoro forzato. Tutti questi temi di risentimento nei confronti delle autocrazie sono stati toccati e condivisi. In questo senso è stato un vertice realistico: c’era contentezza per l’economia, ma non si sono persi di vista i problemi”.

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Non solo regole democratiche

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Insomma, il punto, secondo il premier italiano, non sarebbe tanto contrastare a tutti i costi la Cina, “che ha il diritto di essere una grande economia“, ma costringerla a giocare con le stesse regole delle democrazie occidentali. “Quello che è stato messo in discussione è i modi che utilizza, come le detenzioni coercitive. E’ una autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali e non condivide la stessa visione del mondo della democrazie. Bisogna essere franchi, cooperare ma essere franchi sulle cose che non condividiamo e non accettiamo”. Eppure, nonostante le parole sull’importanza di aderire al gioco democratico, i Paesi occidentali starebbero lavorando anche a un vero e proprio contrattacco commerciale: l’Italia ha già annunciato la sua intenzione di rivedere i suoi accordi sulla via della Seta, seguendo la scia di un’iniziativa americana che prenderà il nome di ‘Build Back Better World (B3W)’, un piano che vedrà affiancati Usa, Italia, Francia, Canada, Germania, Giappone, Regno Unito.

A vario grado di intensità

Ora, però, se il principio è lo stesso (fronteggiare la Cina), ogni Paese sembra avere in mente diverse intensità di azione e diversi obiettivi, nonostante le rassicurazioni sull’unità da parte di diversi esponenti politici. Convintamente al fianco di Biden ci sono Boris Johnson e il premier canadese Justin Trudeau, supporter delle misure più dure per arginare la Cina. Più morbidi, invece, i rappresentanti Ue, tra cui Draghi e la cancelliera Angela Merkel. L’intenzione dei principali esponenti Ue sarebbe dunque quella di incentivare una cooperazione Ue-Cina sui dossier di scala globale (come quello climatico), ma pensando alla costruzione di una realtà economica solida, alternativa a quella cinese. Ma su questo punto sarà necessario attendere ulteriori vertici, ulteriori aggiornamenti, ulteriori sfumature che – con ogni probabilità – sono ancora parte dei retroscena degli incontri. Di certo ci si sta muovendo, di certo l’intenzione è farlo tutti insieme. Sul come, restano ancora molti dubbi.

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E la Russia?

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All’interno di questo quadro, la Russia che posizione assume? La potenza – accusata dal segretario generale della Nato di eccessiva coordinazione con la Cina – potrebbe ora essere interessata a mettere un piede dentro questo grande piano di ricomposizione. A sottolinearlo è il politologo e saggista americano Robert Kaplan, ‘geopolitical chair’ del Foreign Policy Research Institute, a lungo consulente del Pentagono, che in un’intervista alla Repubblica afferma, a proposito del prossimo incontro Biden-Putin: “L’incontro finale con Putin a Ginevra è parte di un percorso ben inanellato. Stabilire un patto di non belligeranza coi russi, dopo aver rinsaldato le alleanze con gli europei, per isolare ulteriormente la Cina, ridimensionandone la competitività. D’altronde anche Putin si avvia all’incontro con l’intenzione di mandare un messaggio a Xi Jinping: ‘Non invadere troppo i nostri interessi economici e politici perché abbiamo altre opzioni‘”.

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