Saman Abbas era tornata a casa per recuperare i documenti che erano rimasti in possesso del padre Shabbar. La diciottenne inizialmente si sentiva tranquilla, ma con il trascorrere dei giorni la situazione è precipitata. Infine, l’omicidio organizzato dalla famiglia e materialmente eseguito dallo zio Danish Hasnain. A ricostruire gli ultimi momenti di vita della giovani di origini pachistane è stato Pasqualino Lufrano, il carabiniere che per mesi ha seguito il suo caso.
Saman Abbas era «cocciuta e grintosa». La diciottenne di origini pachistane, che aveva denunciato i genitori poiché volevano imporle un matrimonio combinato, aveva abbandonato il centro di protezione di Bologna per tornare a casa. Lì avrebbe recuperato il passaporto e gli altri documenti che erano rimasti in possesso del padre Shabbar. Un importante tassello per essere finalmente libera. Senza quelli, infatti, non avrebbe potuto trovare un lavoro, magari oltre i confini dell’Italia, e crearsi una nuova vita. Le sue speranze, tuttavia, sono state infrante dalla famiglia, che in base alle indagini della Procura di Reggio Emilia ha pianificato nei minimi dettagli la sua uccisione. Il compito sarebbe stato materialmente eseguito dallo zio Danish Hasnain, attualmente ricercato. Una ipotesi sostenuta da tempo anche dal maresciallo Pasqualino Lufrano, che ha seguito attentamente il caso: dal momento dell’allontanamento della giovane dall’abitazione di Novellara a quello della sua presunta morte. Il carabiniere ne ha parlato al Corriere della Sera.
Pasqualino Lufrano, 50 anni, è il comandante della stazione dei carabinieri di Novellara. L’uomo ha conosciuto Saman Abbas l’estate scorsa, quando la famiglia denunciò la sua scomparsa. La ragazza era scappata in Belgio per essere libera. Il desiderio di una vita “all’occidentale” la inseguiva da quando i genitori avevano fissato i primi paletti: dalla mancata iscrizione alle scuole superiori alla segregazione in casa. Dopo la fuga, la diciottenne era tornata in Italia. A dicembre era stata proprio lei a rivolgersi al Comando per denunciare la volontà del padre Shabbar e della madre Nazia, 44 e 48 anni, di imporle un matrimonio combinato. La ragazza si era rifiutata e le autorità, temendo ripercussioni, le forze dell’ordine in collaborazione con i Servizi Sociali avevano deciso di trasferirla in un centro di protezione in provincia di Bologna.
L’11 aprile scorso Saman Abbas lascia volontariamente il centro di protezione a Bologna per tornare nella sua abitazione a Novellara. Il maresciallo Pasqualino Lufrano apprende la notizia soltanto nove giorni dopo grazie ai Servizi Sociali. Il timore è che possa succederle qualcosa. Il 22 aprile, dunque, si reca nella casa adiacente all’azienda agricola in cui la famiglia lavora. Lì trova la diciottenne insieme ai genitori. Il padre Shabbar sostiene che la figlia non voglia parlare con i Carabinieri. “Siamo felici di riaverla a casa. Mia moglie piangeva sempre nel saperla lontana, nel centro protetto. Il matrimonio combinato? Una storia finita, non ci pensiamo più”, avrebbe detto. La ragazza è dietro alla madre, che la sorveglia attentamente. Non parla.
Pasqualino Lufrano nota qualcosa che non va. Con la scusa di dover firmare alcuni documenti dunque porta con sé in caserma Saman Abbas. “Non ho visto le condizioni di serenità per parlarle. Per questo motivo ho deciso di portarla in caserma, in un contesto più accogliente”, racconta. La giovane, al Comando, conferma di essere volontariamente tornata a casa. L’obiettivo è recuperare il passaporto. Il padre Shabbar sosteneva di non averlo, che fosse stato perso. “Voleva essere libera. E quel documento avrebbe potuto consentirle, lei sperava, di lavorare”. Fino a quel momento la ragazza, ad ogni modo, afferma di sentirsi al sicuro. “Ma io le chiarisco che non mi sentivo tranquillo“, sottolinea il maresciallo. “Per come si era comportato in precedenza, con la storia delle nozze, quell’uomo proprio non mi piaceva”. Né lui né nessuno, tuttavia, poteva pensare che la diciottenne fosse in pericolo di vita.
Saman Abbas e il maresciallo Pasqualino Lufrano arrivano ad un punto di incontro. La ragazza sarebbe tornata al centro di protezione nel caso in cui i Carabinieri avessero “accertato che il documento era in possesso dei genitori per appropriazione indebita”. Il sottufficiale, dunque, chiede al pm un decreto di perquisizione della casa. In caso di mancato ritrovamento del passaporto, ne sarebbe stato realizzato un duplicato. Intanto vengono avvertiti anche i Servizi Sociali, che si muovono per trovare alla diciottenne un altro centro di protezione in cui trasferirsi. Dopo l’allontanamento volontario, da regolamento, infatti, non sarebbe potuta più rientrare in quello precedente. Gli assistenti sociali individuano un nuovo posto, ma “se ne parla per il 3 maggio”. Quando ormai era troppo tardi. Il Carabiniere chiede che vengano affrettate le tempistiche, ma nulla da fare. Nella data fissata sarebbe stato effettuato il trasferimento nonché la perquisizione. Prima di allora la famiglia della giovane non sarebbe stata messa a conoscenza del provvedimento, in modo da evitare ripercussioni.
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Il 3 maggio Saman Abbas non è più in vita. La notte tra il 30 aprile e il 1° maggio lo zio Danish Hasnain, in accordo con i genitori, la uccide, forse strangolandola. All’arrivo presso l’abitazione di Novellara, i Carabinieri e gli assistenti sociali trovano in casa soltanto il presunto assassino ed il fratello della diciottenne. I genitori sono tornati in Pakistan e, in base alla testimonianza dei due rimasti in Italia, anche la ragazza sarebbe con loro. L’uomo, intanto, sta progettando la fuga, probabilmente in Europa. Al confine con la Francia il minore viene trattenuto dalle autorità, mentre l’altro riesce a svincolarsi. Adesso è ricercato, mentre gli inquirenti cercano il cadavere della vittima. “Io so che ho fatto tutto il possibile”, dice il maresciallo Pasqualino Lufrano.
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