I magistrati di Potenza hanno notificato nuove misure cautelari relative all’indagine sull’ex Ilva. È stato disposto l’obbligo di dimora nei confronti di Carlo Maria Capristo, ex procuratore di Taranto. Lo scorso anno era stato indagato nell’ambito di un’altra inchiesta – per la quale è attualmente a processo – per tentata concussione, falso in atto pubblico e truffa aggravata. In arresto, invece, l’avvocato Piero Amara, ex legale di Eni, e il poliziotto Filippo Paradiso. Domiciliari, infine, per l’avvocato Giacomo Ragno.
Quattro misure cautelari sono scattate a margine dell’inchiesta relativa all’accordo tra la Procura di Taranto e la ex Ilva in amministrazione straordinaria. L’avvocato siciliano Piero Amara, allora consulente legale dell’azienda siderurgica, è stato arrestato insieme al poliziotto Filippo Paradiso, già in servizio negli uffici di diretta collaborazione dei vari sottosegretari alla Presidenza del Consiglio. L’ex legale di Eni è al centro pure dell’inchiesta della Procura di Milano sul cosiddetto “falso complotto Eni”. Agli arresti domiciliari invece l’avvocato Giacomo Ragno, il quale è stato condannato in primo grado nel processo ai magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta. Le autorità giudiziarie di Potenza hanno infine disposto l’obbligo di dimora a Bari per Carlo Maria Capristo, ex procuratore di Taranto. I fatti contestati riguardano il periodo in cui proprio quest’ultimo avrebbe richiesto e ottenuto dei favori per lo stabilimento accusato di inquinamento ambientale, facendo pressioni a due magistrati insieme a tre imprenditori e ad un poliziotto. Nel maggio 2020 l’ex capo della Procura ionica era stato arrestato nell’ambito della prima parte dell’inchiesta – per la quale è attualmente a processo – per tentata concussione, falso in atto pubblico e truffa aggravata. Ad agosto era stato successivamente liberato.
L’inchiesta sull’ex Ilva
L’inchiesta relativa all’ex Ilva di Taranto verterebbe, in base alle prime indiscrezioni, su un presunto scambio di favori nell’ambito dei procedimenti nei confronti dell’azienda siderurgica nel periodo di amministrazione straordinaria nonché su un patteggiamento chiesto da quest’ultima quando era in mano ai commissari. I provvedimenti emanati nelle scorse ore sono gli sviluppi dell’inchiesta venuta alla luce a maggio 2020, di cui la Procura di Potenza è competente. L’ex procuratore Carlo Maria Capristo era in quell’occasione finito agli arresti domiciliari con l’accusa di avere esercitato pressioni, attraverso il poliziotto nonché amico Filippo Paradiso, sulla allora pm della Procura di Trani, ovvero Silvia Curione, oggi in servizio a Bari. Quest’ultima aveva ad aprile scorso confermato i fatti. In particolare, le sarebbe stato chiesto di indirizzare l’esito di un fascicolo di cui era titolare. L’ex capo della Procura ionica, da parte sua, nega ogni accusa.
Le accuse della Procura a Capristo
La Procura di Potenza, in base a quanto emerge dagli atti, accusa Carlo Maria Capristo di avere “venduto stabilmente la sua funzione giudiziaria” all’avvocato Piero Amara in cambio di una “incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione svolta” in suo favore su “membri del Csm (da loro conosciuti direttamente o indirettamente) e/o su soggetti ritenuti in grado d’influire su questi ultimi” nel momento in cui determinate cariche risultavano vacanti. L’ex procuratore, da parte sua, da un lato aveva il compito di “accreditare presso l’Eni Amara quale legale intraneo agli ambienti giudiziari tranesi in grado di interloquire direttamente con i vertici della Procura ed al fine, quindi, di agevolarlo nel suo percorso professionale” e dall’altro di ammorbidire le posizioni della Procura dove era coinvolto come avvocato.
A insospettire gli inquirenti sono stati alcuni esposti anonimi – nonché consegnati a mano direttamente presso l’ufficio ricezione atti della Procura di Trani – dalla “palese strumentalità”, da cui erano nati procedimenti penali che l’ex procuratore Carlo Maria Capristo, dopo avere sollecitato i co-magistrati ad effettuare approfondimenti investigativi (“che risultavano funzionali agli interessi di Piero Amara che aveva inviato gli esposti e che aveva necessità di rafforzare e ‘vestire’ la tesi del complotto contro l’ad di Eni De Scalzi”), si era auto-assegnato. In essi veniva prospettata “la fantasiosa esistenza di un preteso (ed in realtà inesistente) progetto criminoso, che risultava, in modo ovviamente artificioso, concepito in Barletta, proprio affinché il fatto fosse di competenza della Procura di Trani, che mirava a destabilizzare i vertici dell’Eni ed in particolare a determinare la sostituzione dell’amministratore delegato De Scalzi che in quel momento era invece indagato dall’autorità giudiziaria di Milano”.
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Carlo Maria Capristo, inoltre, “accettava una interlocuzione assolutamente impropria ed anomala” con Piero Amara, in relazione agli esposti anonimi, sebbene il nome dell’avvocato siciliano non fosse in alcun modo ”nominato formalmente da un soggetto processuale legittimato”. È per questa ragione che, secondo la Procura di Potenza e secondo la Guardia di Finanza, questa “condotta compiacente consentiva ad Amara di proporsi e mettersi in luce presso l’Eni per un verso come punto di riferimento e tramite verso l’autorità giudiziaria in quella specifica vicenda e, per altro verso, come legale meritevole di nuovi ed ulteriori ben remunerati incarichi”.
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Le sentenze di “Ambiente Svenduto”
Nei giorni scorsi, intanto, il processo “Ambiente Svenduto” sull’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico dell’ex Ilva di Taranto, dopo nove anni, è giunto in primo grado ad una conclusione. I giudici hanno emesso diverse condanne, tra cui quelle a Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori della struttura, i quali dovranno scontare rispettivamente a 22 e 20 anni di prigione. Le accuse sono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Tra i condannati anche l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per concussione aggravata in concorso. Avrebbe, nel dettaglio, messo a tacere l’Arpa in relazione alle emissioni nocive.