Non ci sono controindicazioni ai vaccini anti-Covid per i pazienti con malattie autoimmuni, autoinfiammatorie o immunodeficienze, quindi non vanno interrotti i trattamenti.
E’ unanime l’opinione di immunologi clinici, virologi, reumatologi, pneumologi, medici di medicina interna che emerge dal nuovo documento sulle vaccinazioni anti-Covid della task force della Società italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica: non vi sono controindicazioni ai vaccini anti-Covid per i pazienti con malattie autoimmuni/autoinfiammatorie o immunodeficienze e pertanto, in generale, non vanno interrotti i trattamenti.
Solo per alcuni farmaci specifici la cura va modificata o la somministrazione posticipata rispetto al trattamento farmacologico. E’ sufficiente seguire le poche e semplici indicazioni delle nuove linee di indirizzo sulle vaccinazioni anti-COVID-19 per non avere alcun problema e poter andare incontro anche al richiamo in tutta tranquillità. Tra le raccomandazioni emerse dalle valutazioni degli esperti, l’importanza di avere una patologia clinicamente stabile da almeno un mese e il richiamo a vaccinarsi quanto prima per tutti coloro che non lo avessero ancora fatto.
Il nuovo documento della task force specifica che i pazienti con patologie autoimmuni/autoinfiammatorie e immunodeficienze primitive/secondarie devono essere in fase stabile da almeno un mese, altrimenti la patologia potrebbe peggiorare; anche se le malattie si associano a una riduzione delle piastrine (es. piastrinopenie autoimmuni) o ad alterazioni della coagulazione (es. sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi primaria o secondaria) si può fare il vaccino solo se si è raggiunta una stabilità clinica. Comunque non occorre eseguire esami specifici prima o dopo il vaccino.
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“I pazienti italiani con malattie autoimmuni/autoinfiammatorie sono stati inseriti dal Ministero della Salute nella categoria dei pazienti fragili e prioritari per la vaccinazione anti-COVID, per cui è auspicabile che tutti abbiano già ricevuto almeno la prima dose di un vaccino a mRNA (Pfizer e Moderna), indicati come preferenziali rispetto a quelli a vettore virale non replicante (Astra-Zeneca e Johnson & Johnson) – spiega Enrico Maggi, coordinatore assieme a Raffaele D’Amelio della task force SIAAIC per le malattie autoimmuni/autoinfiammatorie e le immunodeficienze primitive e secondarie – lo stesso si può ipotizzare per i circa 10.000 italiani con un’immunodeficienza primitiva, ovvero con una delle circa 200 malattie rare in cui il sistema immunitario non è adeguatamente efficiente o è del tutto deficitario nella risposta. Più difficile stabilire se i pazienti con immunodeficienze secondarie ad altre patologie o condizioni, per esempio chi ha infezioni virali croniche o neoplasie ematiche o tumori solidi ovvero le donne in gravidanza o chi soffre di malnutrizione, si sia già vaccinato: chi non lo avesse fatto deve provvedere, perché anche se il vaccino probabilmente induce una risposta inferiore rispetto alla popolazione generale, offre comunque un buon livello di protezione“.
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“Qualsiasi infezione intercorrente sconsiglia l’uso del vaccino fino alla sua risoluzione – precisa Maggi – chi invece è in terapia con farmaci immunosoppressori può vaccinarsi e il documento indica quali farmaci immunosoppressori possono essere assunti durante la vaccinazione e quali devono essere ridotti di dosaggio“, in ogni caso “la decisione viene demandata allo specialista. Queste indicazioni valgono sia per la prima che per le successive dosi di vaccino: è importante che questi pazienti, particolarmente fragili, vi si attengano ma non abbiano timore a sottoporsi al vaccino“.
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