Il crollo della funivia del Mottarone, che ha causato la morte di 14 persone, sarebbe potuto avvenire anche prima. I freni del sistema di sicurezza, infatti, in base alla testimonianza di un dipendente, erano disattivati dall’inizio della stagione, ovvero da fine aprile. Sarebbe stato il capo servizio Gabriele Tardini a ordinare ai tecnici di far funzionare l’impianto senza rimuovere il “forchettone”.
Una tragedia annunciata. I sistemi di sicurezza della funivia del Mottarone presentavano dei malfunzionamenti dallo scorso 26 aprile, ovvero dalla riapertura dell’impianto all’inizio della stagione. Nessuno, tuttavia, sembrerebbe essersi accorto in questo mese della presenza dei “forchettoni” nei freni. La mancata rimozione di questi ultimi ha impedito alla cabina numero 3, in cui viaggiavano quindici persone – quattordici delle quali hanno perso la vita (l’unico superstite è Eitan, un bambino di cinque anni) –, di fermarsi a seguito della improvvisa rottura del cavo portante. Essa ha preso velocità, si è schiantata contro un pilone ed è precipitata nel vuoto, senza lasciare scampo alle vittime. Il dettaglio sulle tempistiche della non avvenuta rimozione dei ceppi è stato rivelato da un dipendente dell’impianto, il quale è stato ascoltato dalla Procura di Verbania. Egli stesso ha attribuito le responsabilità dei fatti al capo servizio Gabriele Tadini, il quale si trova attualmente agli arresti domiciliari. Sono stati invece rilasciati dal gip Luigi Nerini e Enrico Perocchio. Il gestore dell’impianto e il direttore di esercizio sostengono di non essere mai stati a conoscenza della manomissione.
“La cabina numero 3 era solita circolare con i ceppi inseriti già da parecchio tempo, per evitare appunto l’inserimento del freno d’emergenza durante la corsa che impediva il funzionamento dell’intero impianto“. Lo ha detto un dipendente della funivia del Mottarone nel corso di un interrogatorio al gip della Procura di Verbania, Donatella Banci Buonamici. L’uomo, nel dettaglio, ha rivelato che i rischi sarebbero stati corsi a partire dallo scorso 26 aprile, giorno della riapertura dell’impianto a seguito di un lungo stop dettato dalle norme anti-Coronavirus. Il “forchettone” che sarebbe dovuto essere rimosso la mattina del 23 maggio per effettuare la corsa di prova, in realtà, restò lì. Non soltanto quel giorno, bensì anche in quelli precedenti. Non veniva messo esclusivamente a fine giornata, alla chiusura dell’impianto, come sarebbe dovuto avvenire a fine di effettuare la manutenzione.
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Anche un’altra testimone, in base alle carte, avrebbe detto di sapere “per certo che il capo servizio Gabriele Tadini ordinava l’applicazione e il regolare funzionamento dell’impianto anche con i ceppi installati sui freni di emergenza“. Un giorno la dipendente avrebbe persino chiesto al tecnico se poteva rimuoverli, ma quest’ultimo le avrebbe detto “di lasciarli dove erano a causa di un problema all’impianto frenante” che faceva partire il blocco di emergenza. Le anomalie sarebbero state risolte successivamente, in una data che non fu mai definita. Le cabine, in questo modo, continuavano la loro corsa, anche se “non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie“. “Prima che si rompa un cavo traente o una ‘testa fusa‘ ce ne vuole“. Lo avrebbe detto Gabriele Tadini alla richiesta di spiegazioni da parte dei colleghi. Eppure, quel maledetto 23 maggio, il cavo portante si è spezzato. Adesso il capo servizio è accusato di omicidio plurimo colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime.
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