Una ragazza, ora di 25 anni, costringeva tramite social una minorenne di Palermo ad infliggersi tagli sul corpo e a spedirle come prova delle foto.
Si è chiuso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, ora di 25 anni, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per “curatore” nell’ambito della cosiddetta “Blue Whale Challenge” e per aver costretto, tramite i ‘social’, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. A deciderlo è stato oggi il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone.
La vicenda
La vicenda, al centro di un processo durato due anni, era venuta a galla in seguito a un’inchiesta sul fenomeno della ‘Blue Whale’ da parte di una giornalista che, fingendo di essere una minorenne pronta alla ‘sfida’, aveva aperto un profilo sui social ed era entrata in contatto con un’alunna delle scuole medie di Palermo, ai tempi aveva 12 anni, che, nell’estate di quattro anni fa per qualche mese, aveva cominciato a giocare per davvero con la giovane imputata. Da qui la denuncia della stessa giornalista alle forze dell’ordine per segnalare i pericoli che stava correndo la ragazzina e l’avvio dell’indagine coordinata dal pm di Milano Cristian Barilli. La ragazza, secondo la ricostruzione degli inquirenti e degli investigatori della Polizia Postale, tra il maggio e il giugno del 2017, con un complice di origini russe allora di 16 anni, avrebbe contattato la vittima mediante profili Instagram e Facebook come “curatorlady”, sostenendo di essere uno dei “curatori” del gioco, indicandole e imponendole i gesti da compiere, per altro concordati con un complice. “Se sei pronta a diventare una balena – recita uno dei messaggi inviati all’adolescente siciliana – inciditi ‘yes’ sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”.
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Inoltre la presunta “curatrice” avrebbe reiterato le “proprie minacce” e la propria “capacita’ intimidatoria” avvisando la 12enne di conoscere il suo “indirizzo IP di connessione”, cioe’ il luogo da cui si connetteva e quindi di poter “raggiungerla e di ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla ‘Blue Whale Challenge'” Oggi il giudice Martone ha inflitto una pena (sospesa) di un anno e 6 mesi con la non menzione riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.