Photo credits: Emilio Andreoli - Getty Images
A un anno di distanza risuona ancora forte l’eco dell’assenza di Ezio Bosso, artista inarrivabile e uomo esemplare.
Il 14 maggio 2020 ci lasciava uno degli uomini più grandi della nostra epoca: Ezio Bosso. Pianista, compositore, direttore d’orchestra, la sua assenza continua ancora oggi ad essere dolorosa e ingombrante non solo per coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, ma per tutti quelli che sono stati conquistati dalla sua musica. Genio delle note, artista del suono e uomo di incommensurabili grandezza e profondità, aveva la capacità di smuovere qualsiasi animo non solo con la bacchetta ma anche con le parole in un misto di incantevole magia e disarmante umiltà.
Ezio Bosso si avvicinò alla musica all’età di quattro anni, grazie ad una prozia pianista e al fratello musicista. Ha raccontato di aver conosciuto in conservatorio Oscar Giammarinaro, che in seguito divenne il cantante degli Statuto, e per circa un anno e mezzo suonò con questo gruppo con il nome d’arte di Xico, fin quando ne sarebbe stato cacciato, disse scherzando, “perché producevo troppe note”.
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Ma non fu certo questo a fermarlo. A soli 16 anni esordì come solista in Francia e incominciò a girare per le orchestre di tutta Europa. Fu però l’incontro con Ludwig Streicher a segnare la svolta della sua carriera artistica, indirizzandolo a studiare Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna. Da quel momento in poi, non ha mai smesso di far brillare la sua musica in tutto il mondo: Sidney, Buenos Aires, Londra, Parigi, il suo linguaggio semplice e universale ha conquistato tutti. Del resto, lui stesso affermava:
“La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme”.
Un talento che è sbocciato anche in Italia, quando nel 2016 Carlo Conti lo aveva invitato come ospite d’onore al Festival di Sanremo. Sul palco dell’Ariston Ezio Bosso aveva eseguito “Following a bird”, composizione contenuta nell’album The 12th Room. Era bastata quell’esibizione a farlo schizzare nelle classifiche e a far risuonare in tutto l’universo quella musica potente, diretta, maestosa come l’uomo che l’aveva partorita.
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Un uomo la cui grandezza si è sempre sposata perfettamente con la sua umiltà. Ezio Bosso era semplice, puro, autentico, innamorato dell’orchestra e della vita:
“Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria. Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritti, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”.
Per lui, la malattia degenerativa non è mai stata sintomo di fragilità ma di resilienza, non di chiusura ma di apertura al mondo e alla sua Bellezza. Ed è proprio la Bellezza della sua musica, del suo spirito e dei suoi insegnamenti che ancora oggi abita il mondo e ci dimostra come la morte non sia un limite alla vita ma solo il suo mutare in un’altra forma.
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