Covid, scoperta Italia Usa su come il morbo attacca il fegato

Covid, scoperta Italia Usa su come il morbo attacca il fegato. Da uno studio di Yale e ospedale Papa Giovanni Bergamo

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Da uno studio portato avanti da ricercatori dell’Università americana di Yale e dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo si è scoperto “per la prima volta al mondo” come il Covid attacchi il fegato. Lo comunica l’Asst bergamasca, spiegando gli esiti di una ricerca pubblicata sul ‘Journal of Hepatology‘.

Il processo patologico che sta alla base del danno epatico legato a forme gravi e fatali di Covid consiste in «un’alterazione della vascolarizzazione dovuta all’eccessiva produzione dell’interleuchina IL-6, citochina che regola la risposta immunitaria dell’organismo».

Gli esperti dicono che «si tratta al momento del primo studio mai pubblicato su modello animale che coinvolge il più grande campione numerico di tessuti umani provenienti da pazienti deceduti per infezione da Covid-19». 

«I marcatori dell’attivazione delle cellule endoteliali e delle piastrine (fattore VIII, gli enzimi fibrinolitici, D-dimero, l’antigene del fattore di von Willebrand-Vwf) hanno indicato un legame tra danno epatico, coagulopatia ed endoteliopatia», spiega Sonzogni dell’Anatomia patologica Asst Papa Giovanni XXIII, «La citochina IL-6, attraverso un processo detto di ‘trans-segnalazione’, provoca l’aumento di anticoagulanti (fattore VIII, Vwf) e infiammatori. Si genera anche un aumento delle piastrine nelle cellule dell’endotelio. Abbiamo rilevato l’azione inibitoria da parte dell’inibitore naturale gp130, del farmaco ruxolitinib che era stato somministrato in alcuni di questi pazienti, e di particolari anticorpi (Stat1/3 siRna). Abbiamo trasmesso questa successione di dati e questo modello ai colleghi di Yale, che lo hanno sottoposto a verifica in laboratorio, ottenendo una conferma di quanto abbiamo ipotizzato».

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«Uno dei più grandi studi clinici ad aver valutato il rapporto tra danno epatico e Sars-CoV-2 », spiegano dall’ospedale di Bergamo,
«aveva rilevato che, su 2.273 pazienti, il 45% aveva un danno epatico lieve, il 21% moderato e il 6,4% grave. I pazienti con danno epatico acuto erano a maggior rischio di ricovero in terapia intensiva (69%), intubazione (65%), terapia renale sostitutiva (33%) e mortalità (42%). Il ruolo dell’infiammazione delle cellule endoteliali era già stato ipotizzato, ma nel caso del fegato non era mai stato dimostrato su tessuto. Inoltre, precedenti ricerche si erano focalizzati finora soprattutto sulla coagulopatia, cioè sull’aumento delle complicanze trombotiche e microvascolari generate dalla risposta infiammatoria del sistema immunitario e derivante dalla tempesta di citochine indotta da Sars-CoV-2». 

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Attualmente la ricerca portata avanti da Italia e Usa rimette in evidenza il ruolo dell’endoteliopatia come prima causa di danno epatico rispetto alla coagulopatia, poiché sarebbe proprio l’endoteliopatia la causa di quest’ultima.

Questa conclusione porta a pensare che l’identificazione precoce dell’endoteliopatia e le tecniche terapeutiche per ridurne l’ accelerazione infiammatoria potrebbero portare a un miglioramento del trattamento delle forme gravi di Coronavirus.

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