Prosegue lo scontro tra Israele e Hamas, cadono nel vuoto gli appelli alla pace, e ormai la guerra sulla striscia di Gaza sembra già avviata. Prosegue il bilancio dei morti, il numero di razzi sganciati e la striscia di Gaza sembra tornare al centro della politica internazionale. Secondo il ministero della Salute di Gaza da lunedì sono 35 le persone morte durante le operazioni israeliane.
Se poco tempo fa, all’inizio delle prime tensioni, ci si chiedeva ancora se ci si trovasse di fronte una nuova guerra sulla striscia di Gaza, le ultime evoluzioni sembrano fugare ogni dubbio. La guerra tra Israele e Hamas è in corso, e non accenna a placarsi. “Divoreremo il nemico con un diluvio di fuoco. La nostra resistenza durerà fino a quando il regime sionista non fermerà i crimini a Gerusalemme: è una linea rossa per tutti i palestinesi e non resteremo a guardare mentre è attaccata. Gaza oggi combatte per liberare Gerusalemme“. Sono le parole di Tareq Al Salmi, portavoce della Jihad islamica palestinese, secondo il quale “questa escalation è iniziata per sostenere i palestinesi di Gerusalemme e per fermare le politiche di apartheid praticate dall’occupazione israeliana, in particolare ciò che sta accadendo nella moschea di Al Aqsa e nel quartiere di Sheikh Jarrah“. Parole che non lasciano dubbi sulla serietà della situazione. Poi altre parole, che ribadiscono – ancora una volta – come le vicende e le morti disseminate sulla striscia di Gaza siano un fatto internazionale su cui, secondo Tareq Al Salmi, gli altri paesi devono esprimersi: “Non contiamo sulla comunità internazionale per salvare i palestinesi, ma le chiediamo di costringere Israele a fermare gli attacchi ad Al Aqsa, di condannare i crimini israeliani contro i palestinesi“.
Effettivamente, l’escalation di violenza tra Israele e Hamas continua ad allarmare la comunità internazionale: è prevista per oggi una seduta di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con lo scopo di discutere quanto sta avvenendo. Stando a quanto riportato da diverse fonti diplomatiche, a richiedere la riunione sarebbero stati diversi Stati, tra cui Cina, Tunisia, Norvegia, Francia, Estonia, Irlanda. Si tratta di una ulteriore riunione che segue quella avvenuta lunedì scorso, nella quale il Consiglio di Sicurezza non aveva trovato un compromesso per una dichiarazione congiunta. E mentre le bombe cadono si mobilitano nuovamente le vecchie alleanze: ieri la Casa Bianca ha condannato gli attacchi di Hamas ai danni di Israele. Joe Biden avrebbe chiesto di inviare “un chiaro messaggio teso a far rientrare l’escalation“. Poi ancora: “Il sostegno del presidente alla sicurezza di Israele e il suo legittimo diritto a difendersi e difendere il proprio popolo è fondamentale e non verrà mai meno”, avrebbe ribadito Jen Psaki, la portavoce del presidente Usa.
A confermare l’allarme, il generale Onu Antonio Guterres, che si è detto “molto preoccupato per quanto sta accadendo in Israele e nei territori palestinesi. Le Nazioni Unite” sono a lavoro per “un’urgente de-esclation“. E a confermare il dubbio che la guerra sia già scoppiata è stato anche Tor Wennesland, inviato dell’Onu per il Medio Oriente: “Questa escalation sta sfociando verso una guerra su larga scala. I leader di tutte le parti devono impegnarsi nella de-escalation. Una guerra a Gaza sarebbe devastante e le persone ne pagherebbero il prezzo più alto“.
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Il Jerusalem Post aveva riportato questa mattina un bilancio di almeno cinque israeliani morti dopo le centinaia di razzi lanciati in direzione di Israele. Dall’altro lato Israele avrebbe colpito obiettivi nell’enclave palestinese. Stando al ministero della Salute di Gaza, da lunedì sarebbero morte circa 35 persone durante le operazioni israeliane. Inoltre, le fonti palestinesi riferiscono anche di 233 feriti. Ma ogni bilancio rischia di essere provvisorio, perché lo scontro prosegue e l’allentamento del conflitto si fa sempre più lontano. Durante la notte Hamas aveva annunciato il lancio di altri 110 razzi su Tel Aviv, e di 100 razzi nel sud dello Stato ebraico. Effettivamente, i razzi lanciati hanno colpito un oleodotto a Ashkelon, che a sua volta ha causato un vasto incendio. Le fonti su quello che sta accadendo sono diverse, ma stando a quanto riportato da Israele sarebbero oltre 1.000 i razzi e colpi di mortaio provenienti da Gaza. E Israele ribadisce: l’85% è stato intercettato. Dall’altro lato, gli obiettivi di Hamas avrebbero subito circa 500 attacchi provenienti da Israele.
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Durante gli attacchi da Gaza ai danni di Israele sarebbero morte 6 persone. Per quanto riguarda il fronte palestinese, ricordiamo, sarebbero almeno 35 i palestinesi uccisi durante i raid di Israele (tra cui 10 bambini). Ma, va ribadito, i numeri sono in costante aggiornamento. Intanto, è emerso che fanno parte delle vittime anche due dirigenti militari di Hamas. Si tratta del comandante di brigata a Khan Yunes, Rafah Salameh, e il capo dell’intelligence militare Muhammed Yazuri. E anche da Israele sembra lontana ogni intenzione di cessare il fuoco: “Hamas, dopo aver colpito Gerusalemme e lanciato oltre 500 razzi, invoca il cessate il fuoco, cercando di evitare di pagare il prezzo per aver colpito il nostro Stato. Ci fermeremo quando saremo pronti“, ha ribadito un funzionario israeliano al Jerusalem Post. Tra gli obiettivi, anche l’aeroporto di Tel Aviv, dove le sirene hanno iniziato a suonare verso le 6 locali, la popolazione della città e delle località adiacenti si è diretta, di corsa, nelle stanze protette. Mentre le bombe continuano a cadere su ambo le parti, le scuole delle località prese di mira restano chiuse, il traffico verso Ashkelon e il sud di Israele è interrotto. Le violenze in corso riportano inevitabilmente alla memoria l’ultima guerra combattuta tra Israele e gruppi armati di palestinesi. Era il 2014. E se i toni non si abbasseranno a breve, il rischio è di tornare a quegli anni.
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