Lo studio italiano che svela la durata degli anticorpi dopo l’infezione Covid: per almeno 8 mesi i guariti sono coperti dal rischio malattia.
Almeno otto mesi. È questa la durata degli anticorpi contro il Covid nei soggetti che hanno contratto l’infezione e sono poi guariti. Lo ha svelato una ricerca realizzata dall’Unità di Evoluzione e trasmissione virale dell’Irccs San Raffaele di Milano, in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità. “Gli anticorpi neutralizzanti contro Sars-CoV-2 persistono nel sangue per almeno otto mesi dopo l’infezione”, è scritto nero su bianco. La resistenza degli anticorpi, inoltre, prescinde “dalla gravità della malattia, dall’età dei pazienti o dalla presenza di altre patologie. Non solo. La loro presenza precoce è fondamentale per combattere l’infezione con successo: chi non riesce a produrli entro i primi quindici giorni dal contagio è a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19″.
Lo studio in questione è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications. L’analisi mappa in modo “esaustivo l’evoluzione nel tempo della risposta anticorpale al Covid-19 e fornisce importanti indicazioni sia per la gestione clinica della malattia – attraverso il riconoscimento dei pazienti a maggior rischio di forme gravi – sia per il contenimento epidemiologico della pandemia”, come hanno spiegato gli esperti. Risultati raggiunti grazie al particolare test per gli anticorpi, sviluppato nel corso della ricerca scientifica sfruttando le competenze e le tecniche già impiegate per lo studio degli anticorpi coinvolti nella risposta auto-immunitaria alla base del diabete di tipo 1.
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A determinare le conclusioni dello studio è stato il percorso di guarigione di 162 pazienti positivi al Covid. Avevano sintomi di entità variabile ed erano tutti pazienti dell’ospedale San Raffaele durante la prima ondata della pandemia in Italia. Tanto che i primi campioni di sangue sono stati raccolti al momento della diagnosi e risalgono ai mesi di marzo e aprile 2020. Gli ultimi, invece, sono di fine novembre 2020. Come specifica la ricerca, “il gruppo di pazienti è composto al 67 per cento da maschi, con un’età media di 63 anni. Il 57 per cento soffriva di una seconda patologia oltre al Covid-19 al momento della diagnosi, l’ipertensione (44 per cento) e il diabete (24 per cento) le più frequenti. Su 162 pazienti, 134 sono stati ricoverati”.
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Le scoperte fatte dalla ricerca portano ad alcune conclusioni, spiegate dalla direttrice dell’Unità di Evoluzione e trasmissione virale dell’Irccs San Raffaele di Milano, Gabriella Scarlatti. “Quanto abbiamo scoperto ha delle implicazioni sia nella gestione clinica della malattia nel singolo paziente, sia nel contenimento della pandemia”, ha detto Scarlatti. E ha specificato: “Secondo i nostri risultati, infatti, i pazienti incapaci di produrre anticorpi neutralizzanti entro la prima settimana dall’infezione andrebbero identificati e trattati precocemente, in quanto ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia”.
Infine ha concluso la direttrice: “Gli stessi risultati ci danno però anche due buone notizie: la prima è che la protezione immunitaria conferita dall’infezione persiste a lungo; la seconda è che la presenza di una pre-esistente memoria anticorpale per i coronavirus stagionali non costituisce un ostacolo alla produzione di anticorpi contro Sars-CoV-2. Il prossimo step è capire se queste risposte efficaci sono mantenute anche con la vaccinazione e soprattutto contro le nuove varianti circolanti, cosa che stiamo già studiando in collaborazione con i colleghi del Iss”.
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