L’uomo era finito nel braccio della morte nel 2017, dopo 21 anni di carcere in cui aveva dichiarato a più riprese di essere innocente.
È stato scagionato da una traccia di Dna diverso dal suo sull’arma del delitto, ma ormai è stato giustiziato. È il caso di Ledell Lee, accusato dello stupro e dell’omicidio di Debra Reese, avvenuto nel 1993 in un sobborgo di Little Rock. L’uomo ha ricevuto l’iniezione letale nel 2017, quando aveva 52 anni, dopo 21 anni di carcere in cui aveva dichiarato a più riprese di essere innocente. Lo ha ripetuto anche quando lo hanno steso sulla brandina del braccio della morte dell’Arkansas, per l’ultima volta. “Sono innocente”, ha ribadito. Ma non è bastato.
Prima dell’esecuzione la famiglia aveva più volte richiesto che lo Stato esaminasse i capelli che erano rimasti sul bastone che aveva massacrato la giovane mamma, e rilevasse le impronte digitali. Ma dal momento che esistevano testimonianze oculari contro Lee che lo reputavano “colpevole senza il minimo dubbio”, il procuratore aveva ritenuto “infondate” le richieste dei familiari dell’imputato. Eppure ora sembrano meno infondate: ora che capelli e impronte sono state analizzate e risultano appartenere a una persona diversa da Ledell Lee, così come la camicia in cui il bastone era stato avvolto e nascosto.
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Circa 24 anni fa Lee era stato subito preso in considerazione come colpevole, perché viveva in quella stessa zona e aveva precedenti di droga. Oltretutto il suo Dna era stato ritrovato sulla scena di tre casi di stupro in passato. Con questi presupposti, l’accusa si è basata esclusivamente sul ritrovamento nel portafoglio di Lee di una banconota da cento dollari che portava lo stesso numero di serie di alcune banconote che la donna aveva ritirato in banca di recente. E sulle testimonianze oculari di persone che dicono di averlo visto entrare nella casa di Debra. Testimoni che, però, avrebbero visto Lee durante la notte in una strada malamente illuminata, per poi riconoscerlo solo in una piccola fotografia dove non erano chiare ad esempio l’altezza e la stazza dell’uomo. Non ha aiutato inoltre il lavoro dell’avvocato difensore, spesso ubriaco e chiaramente incompetente al punto di non accorgersi che non erano state neanche analizzate le impronte digitali.
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Nel corso dei 21 anni che Lee ha passato in carcere, sono intervenuti diversi avvocati. Dai professionisti dell’Aclu, l’Associazione per la difesa dei diritti civili, all’avvocata locale Furonda Brasfield. Il caso è anche arrivato alla Corte Suprema, dove i giudici nel 2017 si divisero 5 a 4, con i liberal contrari alla sua esecuzione. Ma nel 2017 lo Stato dell’Arkansas si accorse che uno dei farmaci che aveva in deposito per le iniezioni letali stava per scadere, quindi decise di accelerare le esecuzioni previste per quel periodo. La sera dell’esecuzione, il 20 aprile 2017, Lee rifiutò la cena e chiese solo la comunione.
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