Ieri si è svolto l’ultimo atto del processo per l’omicidio di Marco Vannini: la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso degli avvocato della famiglia Ciontoli confermando le pesanti condanne.
Dopo la sentenza d’appello bis del 30 settembre scorso l’impressione era che il corso del processo Vannini fosse ormai indirizzato, ma naturalmente l’attesa per l’appuntamento di ieri era molta. La Corte di Cassazione, chiamata per la seconda volta ad intervenire in questo procedimento, doveva decidere se annullare la sentenza dell’ultimo appello o convalidarla. I 14 anni di carcere ad Antonio Ciontoli, i 9 anni e 4 mesi al resto della sua famiglia erano congrui? Lo era la valutazione che la Corte d’Appello di Roma aveva prodotto rispetto al reato commesso? Alla fine è andata come tantissime persone volevano: per la famiglia Ciontoli – tutta – sono state confermate le pene più alte richieste nel corso di tutta la vicenda processuale.
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Soddisfatta la famiglia Vannini insieme al gruppo di amici, parenti e sostenitori che non hanno fatto mai mancare il loro sostegno durante questi sei lunghi anni di udienze. “Giustizia è stata fatta” è stato il commento a caldo di Marina, la mamma di Marco Vannini. “Domani mattina arriverà a Marco il mazzo di fiori che gli ho promesso da sei anni” ha aggiunto. Si è chiuso un cerchio, in qualche modo. Marco ha avuto giustizia ma, come ha ricordato uno dei legali della famiglia Vannini, questa storia è una tragedia, da qualsiasi parte la si osservi: “Non si tratta di una vittoria o di una sconfitta, sono drammi in ogni caso” ha dichiarato infatti l’avvocato Gnazi prima dell’avvio dell’udienza.
Una tragedia che ha avuto il suo avvio, il suo svolgimento e la sua fine nella notte tra il 17 ed il 18 marzo del 2015: lo sparo partito dalla pistola di Antonio Ciontoli, quei lunghi minuti – circa 40 – trascorsi tra il colpo e la prima chiamata al 118. E poi ancora tempo, che secondo i periti avrebbe potuto permettere il salvataggio di Marco e che invece è trascorso senza che nessuno facesse l’unica cosa che andava fatta: chiamare dei soccorsi. E poi le menzogne, consapevoli o meno, espresse durante quelle surreali chiamate al 118: Marco aveva avuto un mancamento, Marco si era ferito con un pettine. Solo in pronto soccorso si inizia a parlare dello sparo.
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Antonio Ciontoli, il “pater familias”, si è assunto ogni responsabilità. Forse tardivamente. Ma secondo la Corte d’Assise d’Appello l’atteggiamento adottato dal resto della famiglia è stato decisivo ad indirizzare i fatti verso il loro drammatico epilogo. “Concorso anomalo” per Maria Pezzillo, Federico e Martina Ciontoli. E dunque due ragazzi ventenni si apprestano ad entrare in carcere e restarci per quasi dieci anni. Colpevoli? Complici? Manipolati dal padre? La verità non la sapremo mai: quello che è realmente accaduto nella villetta dei Ciontoli a Ladispoli lo sanno solo loro, e lo sapeva Marco. Come disse nel corso di una intervista Valerio Vannini, dobbiamo accontentarci della verità processuale. Nel video, il report della seconda parte della giornata di ieri di fronte alla sede della Cassazione.
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