E-commerce come nuova frontiera del lavoro, ma a che prezzo? Dopo il boom degli acquisti a domicilio che ha caratterizzato la pandemia, si pone il problema della gestione del lavoro da parte delle multinazionali del settore.
Pandemia, lockdown e zone rosse hanno sancito la definitiva affermazione dell’ e-commerce: a giovarne maggiormente le multinazionali di settore, a partire da Amazon. Questo fenomeno, se da un lato ha determinato un aumento del livello occupazionale, ha però anche comportato un incremento dei carichi di lavoro per i lavoratori della filiera: dal magazzino alla consegna nelle case degli italiani.
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“La gente deve avere ritmi sopportabili, non può essere usata e poi gettata dopo 3-4 anni di lavoro nei magazzini perché è stata sottoposta a ritmi logoranti e non può essere logorata alla guida per 9 ore consecutive”: ha le idee chiare su ciò che non va nel mondo della logistica e dei trasporti Danilo Morini, della FILT Cgil Dipartimento Merci e Logistica. “Con la pandemia e l’incremento dell e-commerce si sono incrementati a dismisura i ritmi di lavoro e le richieste di performance che Amazon ha sia dentro i magazzini e dentro gli hub. Altrettanto incrementate le richieste di performance lavorativa agli autisti del settore con 180- 200 stop in una giornata di 9 ore sono intollerabili: mettono a rischio la tutela fisica e psichica di queste persone e mettono in pericolo anche la circolazione e chi è fuori dal furgone”, spiega il sindacalista.
Una situazione talmente insostenibile che lo scorso 22 marzo tutta la filiera Amazon si è fermata per il primo sciopero nazionale con 40mila lavoratori coinvolti nei presidi in tutta Italia. “Noi abbiamo una serie di questioni che riguardano sia i dipendenti diretti di Amazon che i dipendenti in appalto che i driver, in totale 120mila famiglie in Italia, circa i ritmi e i tempi di lavoro: questo è il baluardo su cui vogliamo sfidare il colosso di Seattle” aggiunge Morini.
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Secondo il nostro intervistato “Amazon deve avere un rapporto con chi rappresenta i lavoratori, non può pensare di essere negli States e imporre la legge dell 1:1, da una parte l’Azienda e dall’altra il lavoratore singolo. Da noi il lavoro è organizzato”. Il rappresentante sindacale riconosce che la multinazionale crea anche occasione di occupazione, ma il lavoro non deve essere vissuto come una concessione alla quale sacrificare i propri diritti: “Il lavoro è fondamentale, ma un lavoro che dà dignità, non quello che sfrutta e che rende pari alle bestie. Non possiamo accettarlo, nemmeno se tale lavoro è figlio della modernità”.
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