Chiusa l’inchiesta sul Ponte Morandi di Genova, sono 69 indagati. Tra le accuse formulate c’è anche quella di omicidio stradale. I periti del pm: “Mai eseguiti interventi di manutenzione in 51 anni”.
La Procura di Genova ha infine chiuso le indagini per il crollo del ponte Morandi, viadotto autostradale della A10 il cui parziale collasso, avvenuto in quel drammatico 14 agosto 2018, ha causato la morte di 43 persone. L’inchiesta, si sottolinea, è durata oltre due anni, periodo nel quale sono stati fatti due incidenti probatori: uno sullo stato di salute del viadotto, mentre l’altro sulle cause vere e proprie del crollo del ponte, e che si è chiuso lo scorso febbraio. In tutto, sono 69 gli avvisi notificati dalla Guardia di Finanza agli indagati coinvolti.
Ponte Morandi, mai eseguiti interventi di messa in sicurezza
Nell’inchiesta relativa al crollo del ponte Morandi, hanno lavorato per oltre due anni il professore Pier Giorgio Malerba e l’ingegnere Renato Buratti, consulenti della Procura di Genova. Un lungo lasso di tempo che gli ha permesso di individuare e risalire alle cause del rovinoso crollo, oltre che ai responsabili del disastro. Nella perizia si parla di “incoscienza”, “negligenza”, “immobilismo”, e di “comunicazioni incomplete, equivoche e fuorvianti”. Sono in tutto 69 gli avvisi notificati ai manager, tecnici e dirigenti pubblici e privati indagati nell’inchiesta. Ma la notifica è arrivata anche alle società coinvolte con la tragedia, ovvero Autostrade per l’Italia (Aspi) e Spea, entrambe appartenenti al gruppo Benetton.
Con un’indagine che ha contato oltre 200 testimoni, migliaia di intercettazioni, e un’ingente quantità di materiale sequestrato da computer e telefoni, le accuse formulate vanno dal disastro e omicidio colposo all’attentato alla sicurezza dei trasporti, dall’omicidio stradale alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
Secondo quanto concluso dai periti, “c’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza. E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contemporanea evoluzione degli stati di ammaloramento del viadotto”. Si parla poi di “confusione e accavallamento di ruoli nella catena di responsabilità dei vari soggetti coinvolti, ovvero Aspi, Spea, Autorità preposte alla vigilanza e al controllo, consulenti e tecnici esterni. Non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza strutturale”, dato che “avrebbe dovuto comportare scelte importanti, quali l’immediata chiusura al traffico del viadotto”.
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Ed è così, allora, che in 51 anni (a partire dunque dall’inaugurazione nel 1967) non è “mai stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila 9“, primi elementi a cadere durante il disastro. “Nei 36 anni e 8 mesi intercorsi tra il 1982 e il crollo – spiegano ancora i pm – gli interventi di natura strutturale eseguiti sull’intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.578.604 euro”. Ma nonostante i palesi segni di usura degli stralli, “nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza delle parti più critiche del viadotto”.
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Per questo si parla di “negligenza nell’ignorare i segnali riscontrati a monte dell’intervento del 1994 e successivamente rilevati nella loro progressione da quella data fino al crollo”. Inoltre, sempre secondo quanto è emerso dall’inchiesta, il ponte Morandi venne inserito da Aspi, nel 2013, nel Catalogo dei rischi, sottolineando il “rischio di crollo per ritardati interventi di manutenzione”. Proprio per tale rischio, la società aumentò il massimale assicurativo da 100 a 300 milioni di euro, a decorrere dal 2016.