Ora sono le Regioni ad avere paura: le riaperture al 100 per cento non convincono, i governatori chiedono gradualità al governo Draghi.
Dopo 14 mesi di pandemia globale, la politica si divide in rigoristi e aperturisti. I primi, ad esempio il ministro della Salute Roberto Speranza, prediligono la prudenza rispetto al coronavirus e tendono a preferire misure restrittive più severe per evitare la diffusione dei contagi. I secondi, capeggiati dal leader della Lega Matteo Salvini, chiedono a gran voce la riapertura del Paese. A costo di “chiudere un occhio” sulla sicurezza sanitaria dei cittadini. E dall’inizio dell’autunno scorso, il rimpallo di responsabilità tra governo centrale e amministrazioni locali ha causato una continua guerra di opinioni: da una parte l’esecutivo, che emana decreti a livello nazionale. Dall’altra parte le Regioni, che – laddove i contagi sono contenuti – chiedono una ripartenza.
Eppure adesso qualcosa è cambiato. Venerdì 16 aprile il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto una conferenza stampa in cui annunciava una iniziale riapertura del Paese a partire dal prossimo 26 aprile. Ma ora sono le Regioni ad avere paura: le riaperture al 100 per cento non convincono, quindi i governatori chiedono misure graduali al premier. Uno dei dubbi principali riguarda il rientro a scuola al 100 per cento in presenza di tutti gli studenti, compresi i liceali. Una svolta per gli studenti più grandi, maggiormente penalizzati dalla didattica a distanza. Ma una preoccupazione per i presidi, che dovranno inventarsi diverse soluzioni per accogliere la capienza massima degli alunni e – allo stesso tempo – garantire il distanziamento tra i banchi scolastici.
Le Regioni quindi pongono diversi dubbi. Per questo alle 17 di martedì 20 aprile si svolgerà un incontro tra governo e Regioni per un confronto. Il colloquio è stato richiesto dal neo presidente del fronte dei governatori, Massimiliano Fedriga. Per il governo Draghi la parola d’ordine resta ‘ripartire in presenza’, ma i governatori non sono sicure che tutti gli istituti riusciranno a ospitare tutti gli alunni e garantirne la sicurezza. I temi su cui si discuterà – per trovare un comune accordo – saranno il potenziamento dei mezzi pubblici, cioè il vero veicolo di contagio tra gli adolescenti, i tamponi salivari e il tracciamento dei positivi, e gli ingressi scaglionati per evitare assembramenti sui mezzi di trasporto.
Ipotesi anche sulla possibilità di fare lezione fuori dalle strutture scolastiche, usufruendo di musei, palestre, parchi attrezzati e spazi all’aria aperta. “Ci dovrà essere un mix di soluzioni che non dev’essere solo sul trasporto pubblico locale – ha detto lunedì 19 aprile il presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga – ma anche sull’organizzazione scolastica e sulle altre misure che prevedono una modulazione delle percentuali. Meglio dire i limiti con chiarezza e serietà altrimenti non si risolvono i problemi”.
Anche perché, ha detto il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, alla trasmissione ‘Buongiorno 24’ su SkyTg24, è una “equazione insostenibile pretendere che i mezzi abbiano un riempimento al 50 per cento se gli studenti rientrano a scuola al 100 per cento“. La soluzione quindi può essere, per il governatore lombardo, “dilazionare l’inizio dell’ingresso degli studenti nelle scuole, non tutti alla stessa ora ma in orari differenziati“, dando così “molta autonomia alle scuole che possano fare delle scelte compatibili con queste esigenze”.
Dello stesso parere anche i sindacati, che lunedì hanno sottolineato al ministero dell’Istruzione l’insufficienza delle misure prese – in più di un anno di pandemia – per mettere in sicurezza almeno gli edifici scolastici. Considerato anche che il protocollo non è mai stato aggiornato e non ci sono novità concrete nemmeno sull’utilizzo dei tamponi. “E’ un atto di volontà politica non supportato da condizioni reali“, ha evidenziato infatti il segretario Flc Cgil, Francesco Sinopoli.
Tema centrale durante la riunione tra governo e Regioni sarà anche l’orario del coprifuoco. Al momento è fissato dalle 22 alle 5, ma la riapertura di locali e ristoranti potrebbe portare ad allungare di un’ora l’inizio del coprifuoco. Quindi tutti a casa alle 23. “Credo che una riflessione sull’allungare di un’ora” l’inizio del coprifuoco, “soprattutto consentendo la cena nei ristoranti all’aperto, possa essere una riflessione sulla quale approfondire”, ha spiegato il sottosegretario alla Salute Andrea Costa intervenuto a ‘Buongiorno’ su Sky Tg24.
“Credo che l’importante non è” se si allungherà l’orario già “dal 26 aprile o dal 1 maggio. Stiamo facendo delle riflessioni. L’importante è iniziare questa fase di riapertura, ridare speranza e fiducia ai nostri cittadini. Se l’allungamento arriverà una o 2 settimane dopo, non credo sia questo il problema. Credo che dobbiamo essere consapevoli che è iniziata una fase nuova“, ha sottolineato Costa. E ha aggiunto infine il sottosegretario: “Io credo che l’importante è che da lunedì prossimo nel nostro Paese inizia una fase di riapertura, ovviamente graduale e con un grande senso di responsabilità che chiediamo ai cittadini. Non è un liberi tutti, ci vuole tanta consapevolezza e la convinzione che siamo all’inizio di un percorso. Siamo di fronte a un percorso graduale. Il Paese ci chiedeva una discontinuità e mi pare che le scelte che il premier Draghi ha espresso siano scelte di responsabilità. Finalmente la politica si è assunta la responsabilità di decidere”.
La riflessione sul ritardo dell’inizio del coprifuoco, però, non basta a Salvini. Il capo del Carroccio vorrebbe lo stop totale. “Il rischio zero non esiste. Gli italiani hanno portato enorme pazienza e siamo arrivati al limite. Stiamo lavorando per far cadere altri due tabù: il coprifuoco e le riaperture dei locali al chiuso”, ha detto il leader della Lega alla stampa davanti a palazzo Madama. È d’accordo, dall’opposizione, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Sulle riaperture “chiediamo al governo un cambio di paradigma. Per noi non è nelle prerogative del governo italiano stabilire se e quando i cittadini possono uscire di casa o tenere aperta la loro attività”, ha detto Meloni al termine dell’incontro sul Recovery a Palazzo Chigi con il premier Mario Draghi.
“Le norme possono essere anche stringenti, se non bastano due metri se ne mettono cinque. Ma la norma deve essere generale e riguardare tutti. Il governo si deve assumere la responsabilità dei protocolli ma dopo più di un anno non si può più consentire che il governo stabilisca chi può fare o non fare qualcosa. Cose come il coprifuoco, che non c’entrano niente con la lotta al contagio, per FdI non si possono più portare avanti. Su questo siamo stati molto fermi”, ha concluso la numero uno di FdI.
Motivo di discussione è anche l’ipotesi di istituire un certificato che permetta alle persone – vaccinate o tamponate – di ricominciare a muoversi tra le Regioni o a frequentare palestre e locali. Al momento, il governo sembra propendere per un sì al pass per regolare gli spostamenti, ma per un no ai tamponi salivari per l’ingresso in scuole o ristoranti, cinema e teatri. Eppure, alcuni esperti hanno posto dubbi sulla reale sicurezza di questi passaporti vaccinali.
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Il pass o certificato vaccinale per permettere di nuovo gli spostamenti tra le Regioni “si può fare perché chi è stato vaccinato, chi ha avuto la malattia o chi è negativo al tampone, ha sicuramente un rischio basso di essere portatore del Covid, ma sarei cauto. Secondo un recentissimo studio pubblicato su ‘Lancet’ il 10 per cento di chi ha avuto la malattia può andare incontro ad una reinfezione. E questo può essere un rischio”, ha detto Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma.
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Non solo. Prima che venga completata la campagna vaccinale, si rischia di creare discriminazioni: “È un’idea che può andare quando tutti hanno potuto vaccinarsi” contro il coronavirus, ha sottolineato il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri. “In questa fase invece è discriminatorio, anche perché aver fatto il vaccino non è certo uguale ad avere solo un tampone negativo. È come privilegiare chi ha avuto la fortuna” di fare l’iniezione anti Covid “rispetto ad altri, non è molto equo”. ha sottolineato. Questo progetto quindi, secondo Garattini, è “prematuro. E’ qualcosa che si può mettere in atto quando tutti saranno vaccinati e allora non ce ne sarà probabilmente più bisogno”.
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