Giuseppe Conte parla di rigenerazione e soprattutto identità del M5S. Quale sia questo identità però non si sa, perché il Movimento era un contenitore vuoto prima e lo è ancora di più oggi.
Un partito né di destra né di sinistra, che non sia più giustizialista ma che non tolleri gli indagati, che non crei politici di professione ma che faccia rieleggere i suoi esponenti principali, che invochi il merito e la competenza ma poi nomini i fedeli e gli ex-compagni di scuola per le cariche pubbliche, che sia baluardo della democrazia partecipata ma che prenda decisioni a livello di vertice, che sia per l’Europa ma sia critico verso l’Unione Europea. Il Movimento 5 Stelle che sta preparando Conte è tutto e il contrario di tutto, l’importante è ovviamente non perdere consenso, fare tesoro della popolarità acquisita dall'”avvocato del popolo“, vero miracolo pentastellato di un uomo incapace a tutto piovuto dal cielo grillino, che ha già dimostrato una incredibile dote di trasformista, passando dalla subalternità alla Lega durante il primo Governo alla grande alleanza con il Centrosinistra e il Partito Democratico, oggi non più “il partito di Bibbiano che in Emilia toglieva i bambini con l’elettroshock” [Luigi Di Maio – 19 agosto 2019], ma un amico con cui pensare a una coalizione per le prossime elezioni amministrative.
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“E’ fondamentale definire chi siamo” dice Giuseppe Conte durante l’assemblea del Movimento mentre viene definita la sua leadership a capo del partito senza passare da alcun tipo di votazione interna. “Le questioni poste sono fondamentali se vogliamo rifondare, rigenerare l’azione del Movimento. Siamo al terzo governo sostenuto dal M5S. Una carte dei principi e dei valori è essenziale“. Definire cosa si voglia dopo tre governi consecutivi e una miriade di ministri, sottosegretari e dirigenti dello stato nominati, suona parecchio male.
Conte vuole un manifesto per il Movimento che si sleghi dalla precedente gestione del partito ma che porti a qualcosa di assolutamente indefinito così da tenere aperta ogni strada. Certo, una questione su cui sicuramente si proporrà un cambiamento è far “evolvere” la regola dei due mandati, tanto sventolata dal vecchio M5S come base irrinunciabile per la democrazia italiana e vero punto di rottura con Davide Casaleggio. Perché dopo quasi 10 anni di scanno in Parlamento non siano dichiarati tanto matti da rinunciare a un bello stipendio e poco lavoro.
Del resto la politica dei 5 Stelle è sempre stata quella dello spot, dello slogan o del tweet che risolva (a mò di dire) un problema complesso, quieti decenni di differenze sociali ed rinnovi gli equilibri politici. Il solo dire di “essere nuovi” o invocare “il cambiamento” è per Conte e il M5S il rinnovamento stesso: un gigantesco inno al “nuovismo“, cioè a quella esaltazione del “nuovo è meglio” in ogni situazione e in maniera del tutto acritica. Conte ha addirittura chiesto a Grillo di cambiare il simbolo, segno che il brand non tira più tra i consumatori di voto.
Questo sarà il M5S di Conte, un partito pigliatutto attento alle voci di piazza e ai sondaggi ma privo di ogni coerenza e idea, capace di trasformarsi in base alle esigenze e soprattutto di figurare senza mai toccare davvero un argomento, un modo di porsi che piace agli elettori, perfetto per la società dell’immagine di oggi.
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Le poche scelte di Conte sono quelle di un’alleanza con il Pd e una posizione più europeista, mentre fino a meno di due anni si dichiarava orgogliosamente populista. La vera motivazione è che quello occupare uno spazio dentro l’opinione pubblica che in questo momento non viene rappresentato. Oggi così, e domani? Domani chissà. Dai grillini è lecito aspettarsi di tutto.
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