Mentre in Italia si parla di riapertura delle superiori al 100%, torna anche l’antica domanda che ha accompagnato queste riaperture post-pasquali: cosa è cambiato rispetto a prima? Si è cercato di porre rimedio alle stesse mancanze di più di un anno fa? Oltre al blocco dei vaccini agli insegnanti, ora si ripropongono le solite difficoltà per l’avvio di una campagna di screening di massa. Eppure, la proposta – presente già a dicembre 2020 – era stata rilanciata di recente proprio dal ministro Bianchi.
Riaprono le aule, e con esse tornano i mantra legati alla gestione dell’emergenza in ambito scolastico: riapriremo in sicurezza, la scuola è un luogo sicuro, si ripete. Come se il ripetere incessantemente queste frasi potesse realmente colmare le carenze di gestione che hanno compromesso e continuano a compromettere la continuità scolastica. Parliamoci chiaro: il tema è complesso, la gestione della didattica altrettanto. E questo per i soliti motivi che abbiamo imparato a conoscere: i dati sui contagi delle scuole non sono affidabili perché è difficile stabilire l’attimo esatto in cui ci si è contagiati, se dentro o fuori la scuola; gestire un ambiente chiuso in cui si respira la stessa aria e in cui si condividono gli stessi spazi in un periodo di tempo prolungato è complesso, in presenza di un virus come questo; è difficile persino individuare i casi di positività, visto che spesso i bambini e le bambine possono sviluppare forme di positività asintomatiche.
Fatto sta, che da più di un anno la scuola è appesa al chiodo. Si riapre quando possibile, se possibile, ma senza una reale e unitaria controffensiva per limitare la diffusione del contagio. Si accettano chiusure e riaperture come se facessero parte del ciclo delle stagioni, accettando passivamente gli sbalzi della curva epidemiologica. Eppure, rispetto a un anno fa, qualche strumento in più ce l’abbiamo. Abbiamo i vaccini, ad esempio. Ma dopo aver raggiunto l’immunizzazione di metà degli insegnanti, il governo Draghi ha deciso di sospendere la campagna di vaccinazione per gli insegnanti, volendo dare la priorità agli anziani e alle persone fragili. E lo ha deciso quasi nello stesso momento in cui predisponeva le aperture della scuola. Il tema dei trasporti è un altro tasto dolente che al momento è meglio sorvolare. Cosa resta? I famosi screening di massa, l’utilizzo di test rapidi a tappeto per tracciare casi di positività tra le aule. Anche questo è uno strumento dibattuto ormai da mesi, che però potrebbe esser tralasciato ancora una volta.
La proposta di effettuare test di massa all’interno delle aule risale addirittura all’estate 2020, quando diversi governatori locali – sulla scorta di un’iniziativa della regione Lazio negli aeroporti – ipotizzarono uno screening a tappeto anche per le scuole. “Si va in questa direzione. Tra i test più promettenti c’è quello salivare, meno invasivo e più indicato per essere usato nelle scuole”, aveva confermato il ministro Roberto Speranza in un Question Time alla Camera a fine settembre. Il tema torna al centro dell’attenzione con le nuove Linee guida per la scuola, firmate il 23 dicembre 2020 dal presidente della Conferenza Unificata Stato-Regioni Francesco Boccia. Nel documento si legge: “Le Regioni e le Province autonome, al fine di assicurare lo svolgimento dell’anno scolastico in sicurezza anche in collaborazione con il ministero della Salute elaborano un Piano operativo, finalizzato a garantire l’applicazione rapida e tempestiva dei protocolli sanitari relativi alle modalità di screening della popolazione studentesca”.
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Stando a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, però, fonti della Conferenza delle Regioni confermato: quel piano – di fatto – non hai mai visto una piena applicazione. Le cause sono molteplici, dalla mancanza di risorse umane per attuare realmente uno screening di massa alla questione della libertà di scelta delle singole famiglie, fino all’autonomia scolastica, che passerebbe la palla al dirigente scolastico. In genere, poi, sulla questione pesano due ordini di problemi: da un lato l’eterna lotta Stato-regioni (per cui ogni regione, alla fine, decide di gestirla come meglio preferisce), dall’altra la difficoltà nel reperire un tale numero di test e di personale, oltretutto in maniera periodica.
Ora, all’alba dell’ennesima riapertura, si torna a parlare di test rapidi nelle aule. La proposta avanzata dal ministro Bianchi sarebbe già arrivata sul tavolo del generale Figliuolo, ma al momento sarebbe rimasta lettera morta. Tanto che i sindacati ora fanno sapere: “Da parte dei sindacati sono state ribadite le richieste di potenziare, da subito, le attività di tracciamento, con attenzione prioritaria alla scuola attraverso test periodici per tutta la popolazione scolastica, di emanare linee guida che assicurino omogeneità da parte delle Asl nell’adottare le necessarie misure di profilassi, di aggiornare il protocollo per le attività scolastiche in sicurezza ridefinendone criteri e misure alla luce delle esigenze poste dalla diffusione delle nuove varianti”, scrivono in un comunicato unitario Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda. Si attende il nuovo confronto di venerdì prossimo.
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La proposta lanciata dal ministro Bianchi ha già ricevuto le prime frenate dal premier Mario Draghi: “In alcuni casi sarà possibile effettuare il test ma parlare di azione globale mi sembra eccessivo“. Tanto che l’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, attualmente consulente del ministro dell’Istruzione, in un’intervista a Radio Anch’io ha già ribadito: “Non mi è mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di far fare otto milioni di test – ossia a tutta la popolazione studentesca – tutti i lunedì mattina perché è surreale e improbabile. Io ho semplicemente raccontato al ministro Bianchi l’esperimento della Provincia Autonoma di Bolzano che prevede esattamente questa cosa qua. Gli inglesi su raccomandazione di una rivista scientifica, che è Lancet, danno delle indicazioni di questo tipo, detto ciò si deve poi declinare sulla capacità che abbiamo di poter fare queste cose, il che non può essere il tampone tutti i lunedì“. A ribadirlo – stando a quanto riportato dal Sole 24 Ore – è anche il ministero dell’Istruzione in una circolare del direttore generale Stefano Versari: al momento la legge “non prevede la possibilità di subordinare la fruizione in presenza dei servizi scolastici all’effettuazione obbligatoria di screening diagnostici“.
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Le difficoltà nell’organizzare una campagna del genere, e per lo più periodica, sono ormai chiare e comprensibili. Oltre agli ostacoli evidenti che l’intera operazione porta con sé, in Italia si aggiungono i limiti tutti nostrani. La chiarezza nel rapporto Stato-regione non è il nostro forte, e non lo è la capacità di copertura del sistema sanitario (per quanto riguarda strumenti e risorse). E non è il nostro forte neanche il trasporto pubblico. Per quanto riguarda la vaccinazione nelle scuole, poteva essere il nostro forte ma è andata diversamente. E va bene. La prossima volta che si deciderà di chiudere e riaprire, però, fateci un favore: non diteci che la scuola è un luogo sicuro, se nel frattempo tutto è rimasto come prima. Perché a quel punto poteva esserlo anche prima. Diteci, piuttosto, che ora è diventata una priorità nelle scelte politiche. E meno male. Se fosse più sicura rispetto a prima, oltre a essere prioritaria, sarebbe anche meglio.
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