Prosegue in maniera anche aspra il dibattito sull’ergastolo ostativo, in attesa della sentenza della Corte Costituzionale: ma una detenzione a vita senza la possibilità di benefici e sconti di pena è davvero giustizia?
Carcere a vita, senza alcuna speranza: ne di benefici, ne di sconti della pena. A meno che non si diventi collaboratori di giustizia, firmando il famoso 58ter dell’O.P. Questo, in sintesi, è l’ergastolo ostativo, destinato ai condannati in via definitiva di reati di mafia o di terrorismo. Una detenzione senza speranza, che di fatto seppellisce il detenuto in prigione fino alla morte ed insieme a lui, di fatto, l’art. 27 della Costituzione Italiana. Una “punizione esemplare” che risponde perfettamente alla richiesta di “far marcire in galera” chi si macchia di reati dove è prevista la pena dell’ergastolo, come omicidio, strage, reati contro lo Stato ed altri. Una condanna che fa piacere ai tanti, sempre più numerosi, italiani che ragionano ormai quasi esclusivamente con la pancia, spinti dalla rabbia. Senza pensare che, nel corso della vita, potrebbe capitare anche a loro di trovarsi in debito con la legge e a sperare nel garantismo, che è sinonimo e caratteristica di democrazia. Al giorno d’oggi, il carcere è divenuto quasi come un ospedale: le porte potrebbero aprirsi a chiunque.
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Perchè l’ergastolo ostativo è entrato nel dibattito sociale e politico del nostro paese? Tutto parte da una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 13 giugno 2019 secondo la quale la condanna all’ergastolo ostativo inflitta dalla giustizia italiana nei confronti del boss di ‘ndrangheta Marcello Viola violava la l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani. Si tratta di una sentenza molto significativa per il nostro ordinamento, perché nelle condizioni dell’ergastolano Viola ci sono alcune centinaia di boss mafiosi, condannati per le stragi, per terrorismo, che non hanno mai collaborato in alcun modo con la giustizia. I giudici di Strasburgo, nell’argomentare la sentenza, affermarono che “lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena”. Riesame che, si legge nella sentenza, “permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali” da non giustificare più “il suo mantenimento in detenzione”. La Corte, inoltre, “pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della ‘dissociazione dall’ambiente mafioso” specifica “che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia” e senza l’automatismo legislativo che è attualmente in vigore.
Lo Stato italiano fece ricorso a questa sentenza, perdendo. Adesso è il turno della Corte Costituzionale: la Consulta è stata attivata dopo che la Cassazione ha sollevato una eccezione di costituzionalità rispetto al caso di Salvatore Francesco Pezzino, mafioso di Partinico, in provincia di Palermo. Condannato per mafia e omicidio, ha trascorso in totale 30 anni in carcere: nel 1999 aveva anche ottenuto la semilibertà, per poi perderla un anno dopo, in quanto accusato di altri reati. Considerato un “detenuto modello“, nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia. Un divieto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, e dal decreto legge 306 del 1992: si tratta di provvedimenti approvati dopo la strage di Capaci, ispirati dall’azione del giudice Falcone come strumento per abbattere l’omertà della mafia. Una sorta di legislazione di guerra, in un momento della storia d’Italia drammatico: era la stagione delle bombe, si era nel pieno della strategia stragista di C0sa Nostra.
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La Consulta, tra l’altro, si è già espressa – almeno parzialmente – sull’argomento: con la sentenza 253 del 2019 la Corte Costituzionale ha infatti escluso che la collaborazione con la giustizia sia condizione indispensabile per la concessione dei permessi premi per i reati di mafia e per tutti i reati ostativi contemplati proprio dall’ articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Il tema è ovviamente complesso e delicato: molti dei detenuti che sono sottoposti ad ergastolo ostativo si sono certamente macchiati di delitti orribili, e non hanno mai voluto collaborare con la giustizia: ma solo questo è l’indicatore di un ravvedimento, o di un cambiamento di visione della vita? Dopo 30 anni di carcere, non si è già pagata una pena enorme per gli errori ed i reati commessi? Non scordiamoci che la Costituzione Italiana si esprime chiaramente sul tema. Nell’articolo 3, affermando che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma sopratutto lo fa – appunto – nell’articolo 27: “La responsabilita` penale e` personale. L’imputato non e` considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non e’ ammessa la pena di morte”.
Il 3 ed il 27 sono proprio i due articoli della Costituzione a cui i giudici della Corte di Cassazione e del Tribunale di Sorveglianza di Perugia si erano riferiti nel rinviare alla Consulta la questione che poi ha portato alla già citata sentenza 253/19. Ovviamente il principio più stringente è quello relativo alla funzione rieducativa del condannato: l’ergastolo ostativo va in direzione opposta a questo intendimento. E’ una punizione fine a se stessa, una pena di morte che ipocritamente evita l’omicidio del condannato. Lo Stato, la Giustizia, la Democrazia sono altro rispetto a questo, ed è proprio in nome di questa differenza che siamo altro da coloro i quali vorremmo seppellire in carcere. Anche perchè questo cncetto di “fine pena mai” è applicato solo a chi ha commesso quel tipo di reato. Gli autori di crimini altrettanto aberranti ma non previsti dal 4-bis, dopo aver spiato la pena in carcere hanno accesso a benefici e sconti: alcuni esempi sono i protagonisti di importanti casi di “nera”, come il delitto di Cogne o quello di Novi Ligure, attualmente tutti a casa. L’atroce omicidio commesso da Vincenzo Paduano, a danno di Sara Di Giannantonio, bruciata ancora viva, è stato punito con l’ergastolo. Ma probabilmente l’uomo,un giorno, sarà libero. Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all’ergastolo in via definitiva il per il delitto di Sara Scazzi ad Avetrana, molto presto potranno accedere ai benefici di legge. Ma anche i casi di Garlasco, di Erba, hanno visto i protagonisti, condannati, avere accesso ad attività lavorative in carcere: è comunque un punto di contatto con la vita “fuori”. Tutti questi condannati in via definitiva, già dal primo anno di espiazione pena, hanno avuto accesso alla liberazione anticipata: beneficio di legge dell’Ordinamento Penitenziario. I condannati per reati di mafia e di terrorismo no. Se ragioniamo con la testa e non con la pancia, è impossibile non rendersi conto dello squilibrio.
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In attesa della sentenza della Consulta in Italia il dibattito è acceso, forte, “caldo”. Già all’indomani della sentenza della Corte Europea – era l’ottobre del 2019 – ricordiamo il commento dell’allora ministro della Giustizia Bonafede: “Non condividiamo nella maniera più assoluta questa decisione della Cedu, ne prendiamo atto e faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e di una scelta che lo Stato ha fatto tanti anni fa: una persona può accedere ai benefici a condizione che collabori con la giustizia”. Anche il ministro Di Maio si espresse in maniera simile, forse un pelino più retorica: “Ma stiamo scherzando? Se vai a braccetto con la mafia, se distruggi la vita di intere famiglie e persone innocenti, ti fai il carcere secondo certe regole. Nessun beneficio penitenziario, nessuna libertà condizionata. Paghi, punto. Qui piangiamo ancora i nostri eroi, le nostre vittime, e ora dovremmo pensare a tutelare i diritti dei loro carnefici? Il M5S non condivide in alcun modo la decisione presa dalla Corte”. Oltre alla politica – che ovviamente strumentalizza il tema in maniera biecamente elettoralistica, ma a questa distorsione purtroppo siamo abituati – anche la società civile si è espressa. Anche la società civile si è espressa: ad esempio oggi il giornalista Massimo Giletti ha pubblicato su Facebook un commento forte, netto: “Lentamente, nel silenzio generale, si stanno realizzando quelli che erano gli obiettivi delle stragi del 1992 e del ’94. Abolire l’ergastolo ostativo significa rivedere presto in libertà gli autori di quelle stragi. Vogliamo davvero dare un ulteriore schiaffo a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e a tutti gli uomini che hanno dato la vita credendo in questo stato?”. Posizione comprensibile, ma che non tiene conto del fatto che anche il mafioso stragista condannato all’ergastolo ha dei diritti. E’ lo Stato, quello per il quale sono morti i giudici Falcone e Borsellino, che lo prevede. E’ la nostra Costituzione. Giustizia, non Vendetta. E’ tutto quello che ci differenzia da loro, che lo Stato volevano sovvertirlo a suon di bombe.