Denuncia dalla Grecia: “La Turchia scorta barconi verso nostre acque territoriali”. Ankara accusa Atene di respingimenti forzati, ma molto probabilmente è una provocazione di Erdogan nei confronti di greci e UE, ed il vero oggetto della disputa è il gas.
La Guardia costiera greca – e quindi il governo – sta accusando la Turchia per una serie di incidenti nel tratto del mare Egeo compreso tra l’isola di Lesbo e le coste della Turchia, segnalando tre episodi solo questa mattina. In particolare, Atene parla di navi turche che scortano le imbarcazioni di migranti verso le acque territoriali greche: ”Questa mattina la Guardia costiera ellenica ha riportato diversi incidenti da parte della Guardia costiera turca e della Marina che scortavano le barche di migranti verso il confine con l’Europa, nel tentativo di provocare una escalation con la Grecia”, ha detto il ministro delle Migrazioni greco Notis Mitarakis. ”E’ fuori dubbio che questi migranti sono partiti dalle coste turche e il fatto che siano scortati dalla Turchia dimostra che non erano a rischio”, ha aggiunto. Mitarakos ha quindi chiesto alla Turchia di ”mettere fine a queste provocazioni”. Nelle ultime ore la Turchia ha invece accusato la Grecia di respingimenti forzati di barconi. Un botta e risposta che va a riaccendere (se mai si fosse spenta) la fiamma della tensione tra i due paesi.
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Qual’è l’oggetto del contendere tra Istanbul ed Atene? Principalmente un tratto di mar Mediterraneo, situato tra Turchia, Cipro e Grecia, sotto il quale si trovano dei giacimenti di gas naturale e petrolio. Non immensi, pare, ma comunque interessanti per tutti i pretendenti che sono, in primis, i paesi che in qualche modo possono rivendicare territorialmente le preziose porzioni di mare. Una tensione che ha visto una vera e propria escalation nei mesi scorsi, sopratutto sul finire dell’estate, con manovre militari navali ed aeree e addirittura uno scontro tra due navi che hanno preoccupato anche gli Stati Uniti: non fu un caso l’arrivo dell’allora Segretario di Stato dell’Amministrazione Trump Mike Pompeo a Cipro. Era la metà di settembre circa, e venti di guerra spiravano sul Mediterraneo.
Se alla questione del gas – per il quale è in atto un contenzioso sulle acque territoriali – si vanno ad unire anche i precedenti (ossia sostanzialmente la questione cipriota), ecco parzialmente spiegato il senso della provocazione turca. L’utilizzo strumentale dell’emergenza-immigrazione d’altronde non è una novità, per la Turchia: è avvenuto con i profughi siriani, ad esempio. Nel 2016 addirittura l’Unione Europea stipulò l’ormai famigerato accordo con Erdogan: 6 miliardi di euro di “contributi” in cambio del blocco dei confini con l’Europa. Ed ecco che la disperazione di decine di migliaia di profughi sulla “rotta balcanica” diventa una ottima arma di ricatto. Bruxelles paga, ed i migranti restano nei campi in Turchia.
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Sembra incredibile, ma è vero. L’Unione Europea, pur di liberarsi del problema politico e sociale dell’immigrazione balcanica, ha offerto ad Ankara una enorme arma di ricatto. Che Erdogan, impegnato nel tentativo di rendere la Turchia una potenza egemonica quantomeno a livello regionale, utilizza ovviamente senza ritegno. La gestione dei flussi migratori, sopratutto durante la crisi innescata dalla pandemia di Covid, è un problema enorme per molti paesi europei, per primi quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Come la Grecia, ma anche come l’Italia. Le tensioni in corso con Grecia e Cipro, e l’utilizzo che appare conseguente dei migranti che la Turchia sta facendo, dimostra che il governo turco considera lo “sblocco dei confini” come una opzione. Che l’Unione Europea consenta ed addirittura abbia finanziato un atteggiamento del genere, è francamente inaccettabile.