Baristi e ristoratori – ma non solo – sono tra i più colpiti dalle conseguenze della pandemia: lockdown e chiusure stanno uccidendo un settore che nemmeno i ristori riescono a sostenere.
Ristoranti e bar, palestre e sale da gioco: sono tra le attività più duramente colpite dalla pandemia e dalle misure che lo Stato ha deciso di assumere per contenerla. Chiusure, lockdown, zone rosse, coprifuoco: tutti provvedimenti che ormai conosciamo bene, che fanno purtroppo parte del lessico sociale e mediatico quotidiano, ma che hanno un significato che va oltre all’aspetto “tecnico” e semantico. Sono termini che misurano la disperazione di intere categorie professionali che si ritrovano in enormi difficoltà economiche, se non sull’orlo del fallimento. O forse oltre, in tanti casi. Perchè se è vero che la pandemia di covid è arrivata inattesa, trovando un paese assolutamente non pronto a gestirla, è altrettanto vero che in più di un anno di tempo si sarebbe potuto fare di più e meglio, per attutirne gli effetti più drammatici.
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Ed invece, a partire dai primi mesi, cassa integrazione in ritardo, ristori insufficienti e distribuiti in maniera disorganizzata, aperture e chiusure a singhiozzo gestite, tra l’altro, in maniera surreale: serrate decise dal venerdì al lunedì, con conseguente caos organizzativo per ristoranti e bar. Un dramma nel dramma, che rischia di trasformarsi in tragedia: sono ormai tanti gli indicatori sociali che parlano di un paese che sta piombando nella povertà. Una povertà diffusa, pervasiva, che coinvolge e travolge famiglie ed individui che fino ad un anno fa vivevano in condizioni di sicurezza economica. Abbiamo chiesto ad alcuni di questi imprenditori, ristoratori e baristi (ma non sono solo loro a soffrire questa situazione), di fare un punto della situazione ad oggi. Le interviste sono a cura di Agnese Peccianti.