Covid, una ricerca dell’Istituto Pasteur dimostra che i topi possono essere infettati dalle nuove varianti brasiliana e sudafricana. Si teme che i roditori possano diventare dei possibili serbatoi per il virus.
Si amplia la gamma degli ospiti che possono essere colpiti dal coronavirus. Secondo quanto emerso da una ricerca – non ancora sottoposta a revisione da parte della comunità scientifica – effettuata dal team di ricerca dell’Istituto Pasteur di Parigi, sia la sudafricana (B.1.351) che quella brasiliana (P.1) possono infatti infettare i topi e replicarsi senza la necessità del recettore umano ACE2. Sebbene infatti nel caso nella sua variante ancestrale il SARS-CoV-2 non si leghi bene all’ACE2 di topo, e non sia in grado normalmente di infettare l’animale, le due varianti hanno al contrario dimostrato tale capacità.
Rischio che i topi diventino dei serbatoi secondari
Dalla ricerca condotta dall’Istituto Pasteur di Parigi pare dunque che i topi possano diventare dei serbatoi naturali nei quali il virus del Covid-19 diventi in grado di riassortirsi e mutare ancora. I dati dello studio sono stati pubblicati online. Disponibili sul sito bioRxiv, sono tuttavia in attesa di revisione da parte della comunità scientifica.
Il lavoro porta come primo nome il genetista Xavier Montagutelli, e si basa sulle osservazioni fatte nei topi di laboratorio. Come osservato dai campioni, nei topi la proteina Spike del virus SarsCoV2 non riesce ad agganciarsi al suo principale bersaglio, ovvero il recettore Ace2, che si trova sulla superficie delle cellule. Tale passaggio, invece, avverrebbe negli animali sia con la variante brasiliana che con quella sudafricana – sebbene, si sottolinea nel lavoro, “altri fattori potrebbero essere coinvolti nella capacità delle varianti di infettare i topi”.
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I risultati della ricerca offrono due risvolti interessanti da un lato, ma preoccupanti dall’altro. Se infatti diventa ora possibile studiare il Covid-19 direttamente nei topi da laboratorio, questo è possibile grazie al “nuovo salto di specie”, che al contempo “aumenta la possibilità che i roditori selvatici diventino un serbatoio secondario”. I ricercatori, non a caso, spiegato che i dati ottenuti “sollevano importanti interrogativi sui rischi che derivano da topi o altri roditori che vivano in prossimità degli esseri umani”, con il rischio che possano crearsi condizioni favorevoli per lo sviluppo e la diffusione di ulteriori varianti del virus.
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Ad ogni modo, per il momento i vaccini sembrano fare la loro parte. La variante brasiliana pare non sia più infettiva o più letale rispetto alla variante originale, e sembra anche che i farmaci di J&J, Pfizer e Moderna siano in grado di offrire un’ottima copertura in caso di infezione. A destare un po’ più di preoccupazione, invece, è la variante sudafricana – al momento la più resistente ai vaccini.