Prosegue il calo in negativo dei posti di lavoro. Più nello specifico da marzo 2020 a febbraio 2021 sono stati circa 300.000 i posti di lavoro in meno rispetto all’anno precedente: la situazione sembra comunque migliorare dopo il picco minimo raggiungo a metà giugno, che registrava circa 600mila posti di lavoro in meno. Ora il divario è stato recuperato per metà. Ma non basta.
A riportare i nuovi dati sul lavoro, un’analisi congiunta del ministero del Lavoro e della Banca d’Italia, secondo cui tra marzo 2020 e febbraio 2021 sarebbero stati registrati 300mila posti di lavoro in meno rispetto all’anno prima. Questo vuol dire, tra l’altro, che dopo il picco in basso raggiunto a giugno (600mila posti di lavoro in meno), ora il divario è stato colmato soltanto per metà. Stando ai dati, nei primi due mesi del 2021 l’occupazione dipendente regolare in Italia è andata incontro a una vera e propria stagnazione: le cessazioni sono state 707.000 a fronte di 697.000 attivazioni. Tra l’altro, questi dati si distribuiscono in maniera eterogenea tra i diversi settori. Volendo ancora parlare di dati, stando allo studio riportato dal Fatto Quotidiano, il numero di posizioni di lavoro nell’industria a fine febbraio risultava in crescita di 70.000 unità, ma distribuite in maniera disomogenea: il settore delle costruzioni appare in crescita, mentre nella manifattura e in altri comparti industriali si assiste un vero e proprio ristagno.
A esser colpiti, inoltre, sono soprattutto “i servizi privati”, che registrano oltre 110.000 posti di lavoro in meno rispetto all’anno prima. Nel settore turistico si parla di 140.000 mila unità in meno. Tra i settori più colpiti c’è sicuramente la ristorazione. E ora i numeri dell’analisi lo dimostrano: alle “rilevanti flessioni all’interno del turismo (alloggio, ristorazione e altri servizi), particolarmente intense nelle aree montane e nelle città d’arte si è associata anche una diminuzione della domanda di lavoro nel commercio non alimentare di tipo tradizionale (prevalentemente abbigliamento, pelletteria e calzature). Al contrario, il trasporto merci su strada (probabilmente trainato dall’aumento dell’e-commerce) ha creato nuova occupazione soprattutto nei centri urbani di maggiore dimensione”.
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Un altro scostamento di bilancio
Insomma, il mercato del lavoro italiano sembra essersi ghiacciato in una stasi al ribasso: la tendenza è quella alla depressione, alla recessione, ma al momento – nel migliore dei casi – alcune attività si ritrovano in una situazione di ristagno, tenute in vita dall’ossigeno (spesso insufficiente) dei Ristori o dei Sostegni. Abbastanza per sopravvivere singolarmente (forse), ma non abbastanza per salvare il settore produttivo. La situazione, in qualche modo, andrà scongelata, ma al momento il governo Draghi cerca altri modi per continuare a dare ossigeno a un mercato del lavoro compresso dal peso delle chiusure. E lo fa proponendo un ulteriore scostamento di bilancio. Stando alle ultime indiscrezioni il valore dello scostamento potrebbe avere una soglia minima di 20 miliardi, a cui, probabilmente, in futuro si aggiungeranno altri scostamenti di bilancio. Eppure, su questo punto diventa sempre più necessario un cambio passo. Fin dal primo scostamento di bilancio da 20 miliardi dell’11 marzo 2020 il tentativo è stato quello di tenere in piedi interi comparti produttivi che, senza questo tipo di risorse pubbliche, sarebbero sicuramente andati incontro a una crisi ben peggiore. Tuttavia, appare ormai evidente che indennizzi e ristori non sono stati in grado e non saranno in grado di ricoprire le perdite di fatturato subite. Il loro scopo è piuttosto fornire il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Per questo è fondamentale tornare a crescere e farlo in fretta, perché rappresenta l’unica vera arma contro la crisi (a sua volta legata a doppio filo alla buona riuscita della campagna vaccinale).
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Tornare a crescere
Ma come? Uno strumento ce l’abbiamo, un pacchetto consistente di misure europee che è di recente uscito fuori dai radar dell’opinione pubblica, per lasciar spazio ai vaccini. Si tratta del Recovery Fund, che però al momento in Ue si trova in una fase di stallo: la Corte costituzionale tedesca a breve si pronuncerà a proposito della pioggia di ricordi presentati ormai da tempo, tra cui quello dell’economista di destra Bernd Lucke. Ciò vuol dire che i giudici di Karlsruhe dovranno pronunciarsi sui ricorsi arrivati prima che il presidente della Repubblica possa firmare la ratifica del Recovery. La motivazione? Lucke sembra preoccupato dall’ipotetica incapacità di alcuni Paesi Ue di ripagare la loro quota. Questo intoppo allontana ancora una volta l’orizzonte al quale puntano tutti i Paesi Ue, in primis l’Italia: l’arrivo della prima tranche di aiuti (circa 25 miliardi in Italia). Ora, infatti, diventa sempre più probabile l’ipotesi che i primi soldi non arriveranno prima dell’estate inoltrata.
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Questa circostanza non fa che sottolineare un’esigenza: proprio a causa degli ostacoli e dei ritardi che rischiano di compromettere ulteriormente la situazione, diventa sempre più importante spendere in maniera adeguata e oculata queste risorse. Bene gli scostamenti di bilancio per iniettare ossigeno in un mercato del lavoro altrimenti agonizzante, ma non è abbastanza. E questo lo sanno tutti, dagli italiani e italiane impegnati a calcolare le perdite di fatturato, ai premier europei. Tutto sta nel passare dalla consapevolezza ai fatti.