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Le correnti del Pd: quel sottile confine tra pluralismo ed ingestibilità

Il Pd non ne esce. Prima le resistenze del capogruppo al Senato Andrea Marcucci legate all’invito del nuovo segretario Enrico Letta: fare un passo indietro per favorire una maggiore parità di genere. Ora le polemiche di una delle candidate capogruppo alla Camera, Marianna Madia, che in una lettera accusa il capogruppo uscente Delrio di favorire la candidatura della sua concorrente, Debora Serracchiani. Nel partito si consuma l’ennesimo gioco di forza tra correnti. Con la differenza che in un momento come questo, oltre a essere noioso, inizia anche a diventare snervante. 

MeteoWeek.com (da Getty Images)

In queste inezie si consuma tutta la credibilità del Pd. Viene da chiamarle “inezie” perché non riguardano veramente nessuno, in Italia, se non i diretti interessati all’interno del partito. Eppure, nonostante le richieste del nuovo segretario del Pd Enrico Letta, il vortice di tensioni interne non sembra placarsi, anzi. Il Pd assomiglia sempre più a un castello di carte estremamente precario: è arrivato a un livello di fragilità tale che la sua tenuta viene minacciata persino dal cambio dei capogruppi alla Camera e al Senato. E la cosa peggiore è che la lotta non si consuma neanche sulle idee, ma sui nomi. L’ultimo esempio è rappresentato dal caso scatenato da Marianna Madia, in corsa per la carica di capogruppo Pd alla Camera, che riferisce di aver notato trame ai suoi danni e a favore della sua concorrente, Debora Serracchiani. In una lettera rivolta ai democratici accusa il capogruppo uscente Delrio e afferma: “Care colleghe, cari colleghi, la verità rende liberi. E parlarci con chiarezza senza bizantinismi penso possa aiutare a riannodare il filo spezzato di una comunità democratica che è viva ed esigente con chi la rappresenta”. La partita, secondo Madia, è “ripiombata nel gioco di accordi trasversali”.

Pd e paranoia

Non è la prima volta che qualche appartenente al Pd denuncia la mancanza di trasparenza interna, l’eccessiva attenzione ai nomi a scapito dei temi, la tendenza ad assecondare e poi tradire. Lo ha fatto – di recente – proprio l’ormai ex segretario Nicola Zingaretti, con una dichiarazione durissima che ha suscitato diverse polemiche: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti. (…) Mi ha colpito il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto”. 

Poco dopo, il nuovo segretario del Pd Enrico Letta – parlando prima della sua elezione – ha chiesto un cambio passo radicale all’interno del partito, puntando nuovamente il dito sulle correnti interne: “Sono stato un uomo di corrente per tutta la mia vita, però un partito che lavora per correnti come qui da noi, non funzionaNon appena sono tornato ho studiato le correnti attuali, ora mi candido a fare il segretario ebbene: ancora non ho capito qual è la geografia delle correnti. Dobbiamo superare insieme questa sclerotizzazione”. Inoltre, anche Letta mostra diffidenza nei confronti del doppiogiochismo della classe dirigente del Pd. Da qui l’invito a votarlo solo se realmente d’accordo con quanto esposto nel suo discorso, in modo da evitare ulteriori pugnalate alle spalle.

Ora l’accusa di “giochi trasversali da parte di Madia. E poco importa che sia fondata o meno. Ciò che importa è che i membri del Pd non si fidano l’uno dell’altro. E, così, vorrebbero convincere gli italiani e le italiane a fidarsi di loro. Su una cosa, però, sono tutti d’accordo: il problema è rappresentato dalla pessima gestione delle correnti. Effettivamente, sembra che le correnti siano passate dal rappresentare una virtù a rappresentare un vizio: il passaggio da pluralismo a ingestibilità sembra ormai conclamato. Ma quali sono queste correnti?

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Le fantomatiche correnti del Pd

MeteoWeek.com (da Getty Images)

Proviamo a fare una missione impossibile: dare un quadro – seppur approssimativo – delle correnti del Pd. Il quadro fa riferimento al momento a inizio marzo, al momento in cui sono arrivate le dimissioni del segretario del Pd Nicol Zingaretti, ma potrebbe esser già mutato. Partiamo dalla corrente progressista, quella che faceva riferimento a Nicola Zingaretti e che comprendeva – tra gli altri – Roberto Gualtieri, Paola De Micheli e Enzo Amendola. Si tratta di una corrente che segue il tracciato della Ditta di stampo bersaniano. All’interno di questo quadro si inserisce anche la figura di Goffredo Bettini, che avrebbe dato vita a “un’area di riflessione culturale” tutta sua, una riflessione di stampo socialista e cristiano. A sostegno di Zingaretti c’era anche l’area Dems, corrente che fa capo ad Andrea Orlando. Un po’ più a sinistra troviamo la sinistra radicale di Gianni Cuperlo. Un fronte in cui si collocano anche i Giovani Turchi guidati da Matteo Orfini, di tradizione socialdemocratica.

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Di peso maggiore è però l’AreaDem, a guida Dario Franceschini. Anche questa corrente, di ispirazione cristiano-democratica, ha sostenuto l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti. Quest’Area comprende, tra gli altri, Roberta Pinotti, Piero Fassino, Marina Sereni e Luigi Zanda. L’ago della bilancia in Parlamento cade però a favore di Base Riformista, composta da filorenziani o ex filorenziani che però non hanno consumato lo strappo definitivo passando a Italia viva. La corrente è guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, e comprende anche Simona Bonafè, Andrea Marcucci, Simona Malpezzi, Emanuele Fiano. L’impostazione liberale è più o meno simile a quella di Energia Democratica, altra corrente legata ad Anna Ascani. All’interno di questo quadro si aggiunge Fianco a Fianco, di tradizione socialista liberale, e guidata da Graziano Delrio e Martina. Tra questi, anche Debora Serracchiani.

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A chiudere il quadro, ci sono poi gli amministratori locali del Pd, che non fanno parte delle correnti influenti per la gestione nazionale del partito ma che mantengono una forte presa sulla scena pubblica. Tra questi, Giorgio Gori, Vincenzo De Lua e Stefano Bonaccini. Questo è il quadro all’interno del quale si consumano le liti del Pd e la sua lontananza dal tanto decantato “rapporto con il territorio“.

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