“Sulla scuola abbiamo sbagliato troppo”: oggi mobilitazioni contro la Dad in 60 città italiane

Oggi in 60 città italiane si svolgeranno le mobilitazioni per lo sciopero nazionale della Scuola, per protestare contro la Didattica a Distanza. Scendono in piazza studenti e docenti per chiedere la riapertura in presenza, in sicurezza e in continuità di tutti gli istituti scolastici. 

Sono 60 le città in cui hanno preso piede, oggi, le mobilitazioni contro la Dad. Da Ancona fino ad Arezzo, passando per Bari, Bergamo, Brescia, Castellamare di Stabia, Catania, Cagliari, Como, Cremona. Ma la lista delle città è lunga e le mobilitazioni sono ora in corso anche a Faenza, Ferrara, Firenze, Frosinone, Genova, Gorizia, Grosseto. Ancora: Imola, Imperia, Lanciano, L’Aquila, La Spezia, Lecce, Lecco, Lucca, Mantova, Massa Carrara, Milano, Modena, Napoli, Novara. Città di tutta Italia sono diventate luogo di proteste. Quindi Olbia, Padova, Palermo, Parma, Perugia, Pesaro, Pescara, Piacenza, Pisa, Pistoia, Pordenone, Potenza, Prato, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Rosignano Solvay, Salerno, Sassari, Terni, Torino, Treviso, Trieste, Udine, Venezia, Vicenza, Vico del Gargano. E ancora, si potrebbe continuare.

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La mobilitazione è stata indetta da Priorità alla Scuola e a scendere in piazza è anche il Coordinamento Nazionale Precari Scuola. Studenti e docenti si incontrano nel malumore che mette insieme le due parti. Malumore che va avanti ormai da mesi; da quando, fin dall’inizio dell’emergenza pandemica, si sono accumulati malesseri ed errori nella gestione della situazione “scuola”. Eppure, di tempo ne abbiamo avuto. In estate, dopo la prima ondata della pandemia, si discuteva di banchi a rotelle, ipotesi di apertura, scaglionamento degli ingressi. A battersi per la riapertura c’era la Ministra Lucia Azzolina, poi sostituita da Bianchi con il cambio dell’esecutivo.

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A settembre la scuola ha effettivamente riaperto, ma per pochissimo. E non eravamo pronti per farlo. A complicare le cose, anche il sovraccarico dei mezzi di trasporto e i problemi legati a questioni di logistica. “La chiusura delle scuole è l’emblema del fallimento, troppi sono stati gli errori di valutazione nonostante il Cts avesse detto da subito che il problema erano i mezzi pubblici”, commentava qualche tempo fa Anna Maria Bernini, di Forza Italia, a SkyTg24. La Dad si è rivelata di fatto l’unica modalità possibile per proseguire le attività didattiche senza interromperle del tutto; ma è stato dato meno di quanto è stato tolto. Scuola significa socialità, confronto, apprendimento, stimolo, dinamicità. Una serie di fattori che, dietro lo schermo di un pc, sono pian piano svaniti e la lezione in aula, momento di incontro tra studente e alunno, si è di fatto denaturata trasformandosi in un momento passivo, statico, fermo.

E gli strumenti?

SI sono così susseguite proteste e malcontenti. Voci di protesta si sono alzate anche a causa degli strumenti. Gli studenti utilizzano i propri computer, le loro connessioni, i propri strumenti. Ma chi non li ha? Chi non può permettersi una connessione Internet? Problemi anche per i libri, diventati irreperibili. E la questione diventa ancor più grande nel caso dei fuori-sede: affitti pagati a vuoto da parte di chi ha fatto ritorno presso il proprio domicilio; affitti pagati senza senso da chi, d’altro canto, è stato costretto a rimanere nelle case in affitto pur non essendocene motivo. Inoltre, gli  studenti lamentano il fatto di essere stati abbandonati a se stessi. Bonus baby sitter, bonus per Partite Iva, ma neanche un euro per chi vive ogni giorno disagi, come molti altri. “Le tasse”, fanno notare gli studenti, “però dobbiamo pagarle lo stesso”.

E la parità? 

Neanche per la Dad eravamo sufficientemente attrezzati e la modalità a distanza sembra aver acuito le distanze e le differenze tra gli alunni. “Abbiamo solo improvvisato e segnato per sempre una generazione di studenti che usciranno dalla scuola con un gravissimo deficit di formazione e di conoscenza”, proseguiva Bernini. Insomma, l’unico modo per garantire equità è tornare in Aula. “Non comprendiamo perché sui contagi causati dalla scuola in presenza, da settembre scorso stiamo ad inseguire anziché a prevenire”, è stata invece la denuncia dell’Unsic alla vigilia della partenza dell’anno scolastico. Gli errori, secondo il Presidente Domenico Mamone, sono stati troppi.

“Si sarebbe dovuto investire tutto sulle nuove tecnologie e sulla formazione, anziché su elementi materiali come i banchetti, le mascherine o le manutenzioni”, fa notare Mamone. Si sarebbero dovute inoltre assicurare presenze di personale sanitario e di operatori specializzati in tracciamenti; affidare a matematici e statistici per monitorare costantemente la situazione. Così, non è stato.

Le proteste 

Quella di oggi è solo una delle tante proteste che si sono susseguite in questi mesi a macchia di leopardo. Con la mobilitazione nazionale di oggi, Priorità alla Scuola chiede che una parte consistente del Recovery Fund sia riservata al rilancio della Scuola pubblica, promuovendo servizi educativi per l’infanzia, scuola dell’obbligo, superiori di secondo grado. Si chiede inoltre di garantire un incremento della spesa pubblica annua portandola almeno ai livelli della media europea, pari al 5% del PIL. Inoltre, si chiede che i finanziamenti del Recovery Fund siano utilizzati per il potenziamento di tutto il personale scolastico e per l’adeguamento degli spazi e degli edifici scolastici.

 

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