Aumenta sempre di più il numero di ospedali sotto stress in Italia, dalla Puglia al Piemonte, dalla Campania al Veneto. Alcuni riescono a reggere la pressione, ancora per poco, altri alzano la voce per la mancanza di personale. Ancora una volta, a distanza di un anno, il sistema sanitario nazionale mostra i suoi limiti decennali. E a farlo notare è chi si trova in prima fila nelle corsie.
In Italia non si placa l’avanzata del virus, che nella giornata di ieri è tornato a fare 551 vittime e che torna a esercitare la sua pressione sugli ospedali. A illustrare l’attuale situazione delle terapie intensive è 44esima puntata dell’Instant Report Covid-19, un’iniziativa dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica. Secondo il report, ad aumentare è innanzitutto la pressione sui servizi assistenziali: circa una Regione su 2 supera la soglia critica di occupazione di terapie intensive e di area non critica. Commenta i dati Americo Cicchetti, direttore di Altems, che ribadisce: “E’ chiaro ormai che questa terza ondata si sia abbattuta sul nostro Paese (…). La soglia di allerta deve rimanere alta perché il valore medio settimanale dei nuovi ingressi in Terapia intensiva registra da settimane un trend in aumento, è pari a 2,98 su 100.000 abitanti e 9 Regioni (circa 1 su 2) hanno superato le soglie del 30% e del 40% oltre le quali vi è un sovraccarico rispettivamente per la terapia intensiva e per l’area non critica“.
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Le testimonianze dalle corsie
Il Veneto è una delle regioni che registrano numeri di decessi e ospedalizzazioni in crescita: martedì sono stati 57 i morti e altre 58 persone sono state ricoverate nei reparti “non critici” (Infettivi e Pneumologie), per un totale di 1.800. Sono altri 12 i ricoveri di terapia intensiva, che ora hanno 261 posti letto occupati. Il direttore dell’Emergenza Paolo Rosi spiega: “I Covid hospital hanno sospeso l’attività ordinaria e già da qualche giorno si dedicano esclusivamente ai pazienti Covid, ora cominceremo a sospendere visite, interventi e ricoveri non urgenti anche negli altri ospedali, così da spostare progressivamente il personale nelle terapie intensive che si stanno riempiendo. Una situazione non facile, visto che ora medici e infermieri devono essere impiegati anche nella campagna vaccinale”. Nel frattempo, comunque, si cerca di correre ai ripari: il numero di posti letto di terapia intensiva è stato alzato a 600, in modo da garantire sempre circa novanta posti letto liberi, per fronteggiare emergenze extra-Covid o altri colpi di coda inaspettati del Covid.
Ma a far paura sono soprattutto le Marche, la regione italiana con il più alto tasso di occupazione delle terapie intensive. Basti un dato della Fondazione Gimbe: nella settimana 10-16 marzo l’incidenza ogni 100mila abitanti era di 671 casi, più del doppio rispetto alla soglia per far scattare la zona rossa (250). Gli effetti di questa larga diffusione del virus si ripercuotono – ovviamente – anche negli ospedali.
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Negli ospedali manca personale, di nuovo
Il Covid center costruito nella primavera 2020 nell’area fieristica di Civitanova Marche vede arrivare sempre più casi. E se lo spazio c’è ancora, a mancare è il personale. Ne parla una fonte interpellata da Fanpage.it, che fa notare: “Attualmente nella struttura sono ancora disponibili 14 posti di terapia intensiva. Il problema è però la grave carenza di personale. In ciascuno dei tre moduli del ‘covid Center’ (che Bertolaso definì ‘astronave‘) lavorano due anestesisti a turno, medici che tuttavia vengono spesso prelevati da altri ospedali regionali che hanno enormi difficoltà nel portare avanti l’attività ordinaria“.
Un problema, quello della mancanza di personale, che si ripresenta anche in Piemonte, dove il sindacato delle professioni infermieristiche Nursind ribadisce: l’attuale gestione degli ospedali piemontesi è “inadeguata anche per la terza ondata“, “occorre assumere personale“. Alla terza ondata la gestione è ancora inadeguata. Come mai? Volendo rispondere alla larga, si potrebbe dire che una parte del problema è sicuramente ricollegabile ai tagli all’istruzione, che hanno comportato un taglio all’accesso alle Università di Medicina, che ora comportano la carenza di personale, che ora comporta più morti. Una scia di mancanze lunga decenni.
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Ma tornando sull’emergenza, è il Nursind a spiegare esattamente quale sia il problema: “Non si può fronteggiare questa emergenza con un numero inadeguato di operatori. I covid hospital non bastano, il territorio e l’assistenza domiciliare si sono mostrate nuovamente inefficaci, le rianimazioni periferiche sono state prima saturate con pazienti Covid provenienti da Torino, poi riconvertite. E mentre il Valentino resta inutilizzato, nei pronto soccorso si rischia di non garantire la divisione dei percorsi per i pazienti Covid“. E andando ancora più a fondo: “L’emergenza non si può gestire senza personale altamente formato. Nei pronto soccorso, i pochi assunti non hanno fatto neppure i corsi previsti per legge. Nei reparti chirurgici riconvertiti a Covid, dove gli infermieri hanno acquisito per anni competenze specifiche, oggi si gestiscono pazienti di malattie infettive. E pochissime aziende hanno usato le graduatorie infermieri dal bando dei 36 mesi“. A distanza di un anno la musica è sempre la stessa: dietro l’appellativo romantico di “eroi” riferito a medici e infermieri, si celano sforzi sovraumani, sacrifici personali per sopperire le mancanze di un intero sistema. Li chiamavano eroi, ma forse volevano essere semplici lavoratori tutelati. Oggi la storia si ripete. Solo che non ci sono neanche gli applausi, siamo tutti più stanchi.