Sembra sempre più palpabile una tensione interna alla maggioranza, che vede il premier Mario Draghi dover fare i conti con le diverse posizioni delle forze di centrodestra e del Pd. Una prima mediazione a firma Draghi sembra essersi consumata con il mini-condono: alla fine, stando ai calcoli del Sole 24 Ore, riguarderebbe una platea di 16 milioni di cartelle, invece che 61. Il centrodestra non molla.
Alla fine sta pian piano emergendo ciò che tutti ci aspettavamo: possiamo anche dirci tutti europeisti, acclamando la fine delle “ideologie”, ma – alla prova dei fatti – quando è necessario prendere delle decisioni concrete le diversità tornano a galla. E’ accaduto all’interno della maggioranza in merito a fisco e cartelle. Dopo un lungo tira e molla sul Dl Sostegni, alla fine il limite di reddito per il mini condono è stato applicato a 30mila euro. In sostanza, chi avrà un reddito 2019 superiore a 30mila euro sarà escluso dalla sanatoria. Anche se in questo caso, fa notare il Sole 24 Ore, si tratta di un una riduzione della platea più simbolica che altro, vista l’ormai nota distanza tra i dati Irpef e la realtà. A questo si somma lo stop al 2010, invece che al 2015 (come era stato prospettato). Queste due modifiche, secondo una ricostruzione del Sole 24 Ore, ridurrebbero la platea di cartelle cancellate (con imposta, interessi e sanzioni) a 16 milioni, contrariamente ai 61 milioni che erano stati messi “in preventivo” attraverso lo stralcio fino al 2015 presentato nelle bozze di decreto. Un numero, quello dei 61 milioni, che piaceva al centrodestra. Di fatto, invece, con queste due manovre le cartelle si riducono di circa il 75%.
Eppure, ora c’è la sfida del Parlamento. Per questo Lega e Forza Italia mantengono il punto. A farlo è il sottosegretario del Carroccio all’Economia Claudio Durigon, che già mette le mani avanti sul compromesso di Palazzo Chigi: “E’ solo il primo passo“. Un primo passo che, a quanto pare, secondo Durigon ha margini di miglioramento: il sottosegretario è sicuro che alle Camere “si possa trovare la maggioranza per migliorare il provvedimento”. Non sta in silenzio neanche Forza Italia, con il coordinatore Antonio Tajani che afferma: “Non basta. Faremo di più“. Dal Pd, invece, fanno sapere: “Noi voteremo contro“.
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Effettivamente, non si tratta semplicemente di qualche calcolo modificato. Si tratta, piuttosto, di un confronto serrato tra visioni profondamente diversi del Paese, della realtà, di “ciò che è giusto”. Tant’è che ora sembra emergere con più chiarezza un’ulteriore missione, affianco al principale compito di Draghi (traghettare il Paese oltre l’emergenza). E si tratta di riuscire a far dialogare le tante posizioni interne di questa maxi maggioranza. Attualmente sembra che il premier ci stia riuscendo puntando sull’urgenza di prendere misure immediate e, di conseguenza, su una sorta di imperativo tacito: abbattere ogni polemica non strettamente necessaria. Ma le critiche restano, più o meno velate, e aleggiano con circospezione intorno a progetti futuri e attuali. Lo stesso neosegretario del Pd durante il suo discorso il giorno dell’elezione aveva parlato di Ius Soli, un tema che ha già fatto rizzare le antenne alla Lega. E il battibecco, come sempre, è approdato sui social in una battaglia tra leader.
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A dare il via, il neosegretario del Pd Enrico Letta, che su Twitter ha scritto: “Molto bene. Il dl Sostegni interviene su salute, scuola, turismo, cultura e aiuta lavoratori e imprese. Bene Draghi. Bene i ministri. Male, molto male che un segretario di partito tenga in ostaggio per un pomeriggio il Cdm, senza peraltro risultati. Pessimo inizio Salvini”. Il leader della Lega ha allora contrattaccato nominando proprio il secondo tema, lo Ius Soli (condito da una stoccata sulla personale storia politica di Letta): “C’è chi pensa allo Ius Soli e c’è chi pensa ad aiutare gli italiani in difficoltà con un decreto da 32 miliardi. Basta con le polemiche, Enrico stai sereno”. Insomma, la questione sul mini-condono è ancora aperta. E chissà quante altre questioni si apriranno.
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