Lega Trentino, presidente Savoi si dimette dopo insulti sessisti. E la storia si ripete

Il presidente della Lega Trentino Alessandro Savoi, infine, ha presentato le dimissioni dopo il caos venutosi a creare a seguito di alcune sue uscite sessiste sui social. Savoi aveva insultato due consigliere passate dalla Lega a Fdi, definendole “troie“. Ora Savoi presenta le dimissioni per “evitare strumentalizzazioni politiche“. 

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Io sottoscritto Alessandro Savoi, Presidente della Lega Salvini Trentino, con la presente – a seguito delle dichiarazioni pubblicate sui social – rassegno le dimissioni dal ruolo di presidente del Partito, onde evitare strumentalizzazioni politiche che possano recare danno alle battaglie della Lega sul territorio locale e nazionale“, fa sapere in una nota Alessandro Savoi, ormai ex presidente della Lega Trentino. Delle dimissioni “per evitare strumentalizzazioni“, quelle presentate da Savoi a seguito del caos creatosi dopo le sue ultime uscite sui social: Savoi aveva insultato due consigliere Lega in regione passate a Fdi definendole “troie“. Più nello specifico, si tratta di Alessia Ambrosi e Katia Rossato, a cui si aggiunge anche un terzo consigliere comunale di Trento, Daniele Dematté. I tre sono stati definiti “trobetti” (ovvero burattini), “gente infame” e “traditori“. Poi, affinché il messaggio arrivasse forte e chiaro, Savoi aveva postato un altro commento: “E niente. Nella vita, come nella politica, i leoni restano leoni, i cani restano cani e le troie restano troie“. Ora il leghista chiede scusa: “Nel rassegnare le dimissioni, mi assumo la responsabilità delle mie parole – che sono il primo a riconoscere frutto di un grave errore – e formulo le mie scuse a quante si sono da esse sentite offese nella loro dignità personale, prima che politica e istituzionale“, conclude il leghista.

Le reazioni al post di Savoi

Immediatamente, dopo il post, si è creato un fronte di solidarietà per le due consigliere. La giornalista Selvaggia Lucarelli scrive su Twitter: “Ieri due consigliere provinciali (prima la Ambrosi, poi la Rossato) sono uscite dalla Lega Trentino per passare a Fdi. Il presidente del partito leghista e consigliere provinciale Alessandro Savoi ha scritto un post pacato, degno del partito che rappresenta“. Un commento arriva anche dal leader della Lega Matteo Salvini, che alla fine dell’udienza a Palermo afferma rapidamente: “Ha fatto bene a dimettersi“. Altre condanne sono arrivate poi dalla politica, sia da destra che da sinistra. Ad esempio, la senatrice Fdi Isabella Rauti ha definito gli insulti di Savoi, “violente e gravissime le parole del presidente della Lega in Trentino verso due nostre consigliere provinciali in Regione, la cui ‘colpa’ sarebbe quella di aver aderito a Fratelli d’Italia. A loro va tutta la mia solidarietà e vicinanza non soltanto come esponente politica ma in quanto donna“. Dall’altro fronte, la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio a Palazzo Madama, ha richiesto un intervento dei vertici leghisti: “Un atteggiamento indegno. I vertici della Lega intervengano“.

La punta dell’iceberg

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Ebbene, a ben vedere sembrerebbe proprio che l’uscita sessista di Savoi sia inscritta in un atteggiamento ripetuto: attaccare la donna per attaccare la rappresentante politica e, nel farlo, sdoganare una violenza verbale pericolosa, tanto più perché proveniente “dall’alto”. Basti pensare all’ormai tristemente nota uscita di Matteo Salvini a proposito di Boldrini, definita “bambola gonfiabile“. Siamo nel 2016, e da allora poco è cambiato, se non la pronta solidarietà di chi, ora, si schiera più rapidamente per condannare queste uscite. Questo fronte comune può esercitare pressione sui vertici, e ora può – effettivamente – richiedere le dimissioni di chi si è reso autore di queste uscite. Eppure tutto questo non è ancora abbastanza. Non è abbastanza perché gli insulti sessisti dei rappresentanti politici sono profondamente radicati in una cultura diffusa che ancora propone violenza (verbale e non) nei confronti delle donne come soluzione di comodo per sfogare frustrazioni di altro tipo. E questa cultura diffusa non aspetta altro che il “lasciapassare” dall’alto per emergere liberamente.

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Il 25 agosto 2020 l’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha pubblicato una lista di commenti ricevuti sui social: “Questa la vedi bene a battere” è il più delicato. Il 20 luglio 2019 è venuto il turno di Maria Elena Boschi (in verità mai finito). Boschi aveva proposto una mozione di sfiducia contro l’allora vicepremier Matteo Salvini. Da lì, la pioggia di insulti sessisti da parte della base leghista, e – a detta di Boschi – la scarsa solidarietà da parte di chi avrebbe dovuto condannarli: “Che tristezza non ricevere un solo commento di solidarietà da parte dei leghisti perbene. E delle donne leghiste o grilline. Che tristezza pensare che ci siano donne e uomini che sfogano su di me le loro frustrazioni“.

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A metà settembre 2020 è stato il turno dell’allora ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, che era apparsa in un video in cui sosteneva la candidata alla presidenza Daniela Sbrollini, che correva per Italia viva, Pri e Civica per il Veneto. Anche Sbrollini parla di “parole sessiste e con inviti alla morte, con epiteti espliciti che non lasciano spazio alle interpretazioni e che dobbiamo denunciare e portare all’attenzione perché chiunque sia il bersaglio, ancor più una donna, è aberrante e al limite della civiltà“. E potremmo andare avanti per molto. Quindi, bene le dimissioni, ma non bastano. Ogni volta che un rappresentante politico dà voce a uscite di questo tipo, il dado è tratto.

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