Abusi in Vaticano, a processo don Gabriele Martinelli e l’ex Rettore don Enrico Radice. La testimonianza shock della presunta vittima: “Molestie dentro San Pietro. Mi diceva ‘vieni qua, facciamo veloce, dai'”.
Continuano le indagini dentro le mura del Vaticano. Nuovi dettagli emersi dall’ultima udienza del processo a carico di don Gabriele Martinelli, accusato di abusi perpetrati su un compagno, e dell’ex Rettore don Enrico Radice, accusato di aver intralciato le indagini. Don Martinelli, si ricorda, avrebbe abusato di un suo compagno quando erano entrambi allievi minorenni dell’istituto affidato alla diocesi di Como. La presunta vittima, L.G., ha parlato per circa 3 ore davanti ai magistrati vaticani, fornendo testimonianze e racconti drammatici.
La presunta vittima, che ora ha 28 anni e viene identificata soltanto come L.G., è stata ascoltata mercoledì in tribunale. Il giovane ha testimoniato nell’ultima udienza del processo a due sacerdoti, uno accusato di abusi e l’altro di occultamento delle indagini.
L.G. ha raccontato che Gabriele Martinelli, ora 28enne e sacerdote, lo avrebbe più volte costretto a fare sesso nel Preseminario Pio X, per lo più mentre erano entrambi minorenni. Ma le avances, a cui sarebbe riuscito a opporsi, sarebbero state fatte anche nel piccolo bagno dietro l’Altare della Cattedra di San Pietro. Secondo quanto viene ripreso da Il Messaggero, la vittima avrebbe infatti raccontato: “Lui quella volta si affacciò da me con la veste aperta ed era nudo sotto, mi invitò a seguirlo in uno dei due bagni. Ero sconvolto: queste cose anche durante la messa? Sono uscito dal corridoio e mi sono messo all’altare a fianco ai gradini, così che non poteva dirmi vieni di là”.
Delle avances continue, che avvenivano anche nella Canonica al terzo piano, utilizzata dai ragazzi per cambiarsi prima delle messe in Basilica. Come spiegato dalla vittima, a volte Martinelli si faceva trovare con i pantaloni abbassati o completamente nudo, mentre lo invitava compiere atti sessuali con lui. “Sapeva i miei turni. Mi diceva: ‘Vieni qua, facciamo veloce, dai‘”. Ma se di giorno L.G. riusciva ad opporsi e a scappare, l’incubo diventava inevitabile di notte.
Per sei anni la vittima sarebbe stata vittima di abusi, con un dramma iniziato ad appena 13 anni. Un bambino. All’inizio, spiega L.G., si sentiva sotto shock: poi è subentrata “l’esasperazione”, e infine “la rassegnazione”. Di notte, nella sua stanza, Martinelli lo molestava e si masturbava, mentre tutti gli altri “o dormivano o facevano finta di dormire“. E il ricordo di quella “prima volta” ancora lo disturba.
“Martinelli si era infilato nel mio letto di notte. Per me era una cosa molto strana, ero piccolo e non mi ero mai affacciato al mondo della sessualità. A casa o nel mio paese non avevo mai sentito parlare di sesso. Ho provato un senso di confusione, non capivo cosa stesse succedendo”, ha spiegato la vittima. E ha proseguito: “Mi ha abbassato i pantaloni e ha cominciato a toccarmi nelle parti intime, per poi masturbarsi. Una volta finito, è andato via come se niente fosse. È stato uno shock, mi sentivo paralizzato“. I rapporti veri e propri, però, avvenivano nella stanza vuota del Preseminario, che il sacerdote occupava da solo. Martinelli, infatti, col passare del tempo lo avrebbe costretto a del sesso orale e anale reciproco.
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Paralizzato dalla paura e dalla vergogna nel denunciare quanto gli stava accadendo (“avevo paura di essere additato anch’io come omosessuale”, “pensavo a cosa avrebbero potuto dire ai miei genitori, al mio parroco”), con il Rettore don Enrico Radice aveva parlato soltanto genericamente di un disagio, senza “entrare nei dettagli sessuali”. E ci aveva riprovato anche due anni dopo i primi abusi. “Non gli ho mai detto di essere vittima di aggressioni sessuali, non sono entrato nei particolari. A 30 anni mi sento anche in colpa di non essere stato più chiaro”, ha raccontato però ai magistrati. E data la “reazione spropositata” di Radice, il giovane si era infine “rassegnato”, smettendo di denunciare la sua esperienza.
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Esperienza, questa, che l’ha segnato nel profondo, e del quale continua a portarsi un peso che non gli dà pace. In una lettera al vescovo Coletti, L.G. avrebbe scritto di “non voler fare casini”, ma di aver bisogno di soldi per pagarsi un percorso di psicoterapia. Come risposta, oltre alla richiesta di prove scritte, documentate, dal vescovo avrebbe ricevuto l’invito ad “allontanarsi dalla Chiesa“, a “vivere la sua vita“.
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