Con il nuovo incalzare delle varianti, con l’aumento dei contagi, con una campagna di vaccinazione che procede a rilento e con le terapie intensive sotto stress, diventa sempre più importante consolidare un buon sistema di tracciamento. Ma che fine ha fatto l’App Immuni? La buona notizia è che ci sono novità, la cattiva notizia è che siamo arrivati a chiederci che fine abbia fatto (quindi per ora è andata male). Eppure sarebbe uno strumento utilissimo, soprattutto in presenza di varianti estremamente contagiose.
I nodi continuano a venire al pettine, tanto che a distanza di un anno rischiamo di rimanere ormai calvi. Se l’arrivo impetuoso del Covid ha messo a nudo tutte le fragilità di un sistema sanitario ridotto all’osso da anni di tagli, ora l’incalzare inarrestabile delle varianti sembra mettere a nudo tutto ciò che in questo anno di pandemia ancora non siamo riusciti a fare. Abbiamo creduto, un po’ per dichiarazione di impotenza e un po’ per cecità, che le chiusure e il distanziamento fossero la chiave principale della lotta contro il Covid. Abbiamo parlato di ospedali pieni e ci siamo organizzati a metà: continua a mancare il personale, che non può esser formato dall’oggi al domani. Abbiamo parlato di carenza di mascherine e le abbiamo avute, salvo poi scoprire retroscena un po’ torbidi. Abbiamo parlato di tracciamento e, durante la seconda ondata, lo abbiamo portato avanti finché i numeri non sono diventati troppo grandi.
A proposito di contact tracing, avevamo parlato dell’App Immuni, la svolta digitale che, si diceva, avrebbe permesso di seguire con estrema precisione l’avanzata del Covid. E ora conferma la possibile utilità delle app di contact tracing anche uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, che ribadisce: le applicazioni di questo tipo possono contenere l’insorgere di nuovi focolai Covid-19. Lo confermano le simulazioni svolte in collaborazione tra la Fondazione Bruno Kessler (Fbk) di Trento, il Politecnico di Losanna (Epfl), la Technical University di Copenaghen (Dtu), l’Università di Aix-Marsiglia, la Fondazione Isi di Torino e l’Università degli Studi di Torino. Lo studio segue la scia di quanto sostenuto sulla rivista Nature dal ricercatore del Big Data Institute dell’Università di Oxford Luca Ferretti: stando a quanto dichiarato da Ferretti (e riportato da Wired), superata la soglia del 15% di utenti sul totale della popolazione, a ogni aumento dell’1% degli utenti di un’app di contact tracing corrisponderebbe una riduzione dei nuovi contagi dallo 0,8 al 2,3%.
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L’applicazione sembra ormai aver raggiunto una battuta di arresto. Dopo una crescita nei download registrata in autunno, infatti, i download sembrano ormai più o meno fermi: dalla fine di ottobre 2020 a metà febbraio 2021 sono passati da 9,3 milioni a 10,3 milioni. Ma è il dato sulle persone positive che hanno segnalato la loro positività sull’app a deludere. Tra la fine di ottobre a circa un mese fa, il numero di persone positive segnalate è passato da 1.530 a 11.300, mentre il numero di persone avvertite della vicinanza con un positivo sono passate da 36.2000 a 88.200. Numeri certamente in crescita, ma che rispondono a una più generale crescita dei contagi. Insomma, il virus va molto più veloce, fa molti più contagi, e i numeri registrati dall’app Immuni rappresentano un contact tracing quasi irrilevante.
A causare la scarsa diffusione potrebbe esser stato, oltre a una campagna promozionale timida, anche l’insorgere di una serie di problematiche che ne inquinavano il buon funzionamento. Tra queste, il meccanismo farraginoso che stava dietro la segnalazione della positività dell’utente. Per consentire agli utenti positivi di caricare la loro positività sul server Immuni era necessario l’intervento di operatori sanitari: questi ultimi dovevano comunicare il risultato del tampone, una pratica a volte tralasciata o attuata dopo diversi giorni.
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Per ovviare a questo primo problema a fine ottobre il governo aveva ordinato la creazione di un call center in grado di integrare lo scambio di informazioni tra App e sistema sanitario, poi realizzato tra dicembre e gennaio. Con l’attivazione del call center, chi risulta positivo poteva comunicare all’operatore del call center il proprio codice CUN (codice univoco nazionale) ricevuto dalla Asl via Sms o presente sul referto del tampone. Oltre al CUN, andavano comunicati anche gli ultimi otto numeri della tessera sanitaria. Ricevuti i dati, l’operatore del call center poteva sbloccare il caricamento dati sull’app. Eppure la situazione non sembra significativamente migliorata: non è stato registrato un significativo aumento delle segnalazioni e i download sembrano fermi ormai da un po’.
A causare questo mal funzionamento, probabilmente, è stata anche la frammentazione regionale del sistema sanitario nazionale, che ad esempio comunica il codice CUN in modalità differenti di regione in regione. A questo quadro “organizzativo” si aggiungono le lacune di carattere “propagandistico”: il governo Conte II ha parlato sempre meno dell’esigenza di scaricare l’App, complice anche la crisi di governo da cui è stato travolto. E si sa, se questo tipo di applicazioni non vengono scaricate da un numero sufficiente di persone si rivelano inefficaci.
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Proprio qualche giorno fa, però, una decisione del Garante per la Privacy potrebbe aver fornito un assist non indifferente al miglioramento del funzionamento dell’App Immuni. Il Garante avrebbe autorizzato il ministero della Salute ad attivare una nuova funzionalità dell’applicazione: la novità potrebbe consentire all’utente positivo di attivare autonomamente la procedura per inserire i propri dati nell’App. In sostanza, l’utente potrà interagire direttamente con il Sistema di allerta Covid-19 inserendo proprio il famoso CUN, presente sul referto del tampone positivo, insieme alle ultime 8 cifre del numero identificativo della tessera sanitaria. A quel punto il Sistema di allerta Covid-19 verifica i dati e Immuni si occupa di analizzare i codici temporanei generati dal dispositivo nel momento in cui entra in contatto con un un altro dispositivo con l’app installata. Il secondo dispositivo (e quindi il secondo utente) dovrebbe a quel punto ricevere una notifica che lo informa di esser entrato in contatto con un positivo. Ora il via libera del Garante su questa procedura potrebbe comportare qualche miglioramento. Manca giusto un piccolo elemento: ricordare alle persone l’esistenza di Immuni e convincerle della sua utilità e del suo buon funzionamento. In un momento in cui tutta l’attenzione è rivolta a vaccini mancanti o ritirati.
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