Mancano i vaccini ma i brevetti restano blindati: cosa accade e quanto senso ha

L’Italia, per i prossimi giorni, dovrà fare a meno del vaccino AstraZeneca, ritirato dall’Aifa in via precauzionale. L’intento sarà quello di portare a termine tutti gli accertamenti necessari. Questo vuol dire, però, che l’Italia dovrà necessariamente rallentare la propria campagna di vaccinazione, insieme a molti altri Paesi Ue che hanno preso una decisione analoga. Con il passare del tempo e con l’emergere delle prime complicazioni di percorso appare sempre più evidente un elemento: è indispensabile allargare il bacino di produzione dei vaccini. Ma quali sono gli ostacoli che si frappongono a una sospensione dei brevetti sui vaccini? E la sospensione dei brevetti rappresenterebbe davvero la soluzione al problema?

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

L’Italia per i prossimi giorni dovrà fare a meno del vaccino AstraZeneca. Proprio nella giornata di oggi è arrivata la decisione dell’Aifa che, allineandosi alla scelta della Germania e di vari altri Paesi Ue, ha deciso di estendere “in via del tutto precauzionale e temporanea, in attesa dei pronunciamenti dell’Ema, il divieto di utilizzo del vaccino AstraZeneca Covid-19 su tutto il territorio nazionale“. Si tratta, lo ribadiamo, di una sospensione precauzionale. La decisione, spiega l’Aifa, “è stata assunta in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri Paese europei. Ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso“. Insomma, l’Ema intende portare a termine le indagini sui casi di trombosi venutisi a creare tra vaccinati AstraZeneca. Gli studi condotti fino ad ora non lasciano emergere una correlazione causale accertata tra la patologia e la somministrazione del vaccino. Inoltre, l’Ema aveva già sottolineato: in ogni caso i benefici superano i rischi.

Tuttavia, è necessario ottenere una certezza scientifica incontrovertibile e per questo è necessario portare a termine le indagini. Intanto dall’Ema fanno sapere: “Il comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac) ha convocato una riunione straordinaria giovedì 18 marzo per concludere le informazioni raccolte e qualsiasi ulteriore azione che potrebbe essere necessaria”. Intanto, però, tutto questo avrà un effetto immediato su ogni campagna di vaccinazione, provocandone un inevitabile rallentamento. E a questo punto appare sempre più inevitabile una riflessione sulla produzione dei vaccini: in un contesto fatto di imprevisti, di carenza di dosi e di lunghe attese, ha senso archiviare così rapidamente ogni azione sui brevetti?

Brevetto, croce e delizia

Non si tratta di una posizione ideologica: sappiamo benissimo che il brevetto è necessario per proteggere gli stessi investimenti nella ricerca. Senza questo tipo di protezione sulla proprietà intellettuale, l’investimento, in genere, non avrebbe motivo di esistere: il brevetto serve esattamente a permettere che l’investimento iniziale, in un certo senso, “si ripaghi da solo”. Attraverso un brevetto, infatti, il soggetto che ha sviluppato l’invenzione può produrla, utilizzarla e venderla senza che nessun altro possa fare altrettanto per diversi anni. In questo lasso di tempo i guadagni vanno a ricoprire gli investimenti iniziali, fino alla scadenza del meccanismo di monopolio: a quel punto l’invenzione diventa di dominio pubblico. Tuttavia, si tratta di un sistema che funziona più o meno perfettamente quando le acque sono calme.

Quando si entra in emergenza, e ancor peggio in un’emergenza globale, la situazione cambia: tutti i Paesi potrebbero aver bisogno di un singolo brevetto, e senza poter attendere la naturale scadenza del monopolio. In questo caso la Risoluzione 58.5 dell’organo legislativo dell’Oms prevede che durante una pandemia i governi possano attuare tutte le misure necessarie per risolvere problemi di rifornimento vaccini o farmaci. A quel punto, secondo le regole del Wto (Organizzazione mondiale del commercio), la decisione passa ai singoli Stati che potrebbero votare per la sospensione del monopolio per un determinato periodo di tempo. Un’altra soluzione possibile consiste invece nella concessione di una licenza su base volontaria da parte delle aziende farmaceutiche. In questo modo le aziende detentrici di brevetto consentirebbero ad altre aziende di produrre il vaccino in questione, applicando o meno costi di licenza. Ma si tratta, appunto, di un’iniziativa su base volontaria.

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La decisione del Wto sui brevetti dei vaccini

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Giovedì scorso i Paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) non hanno raggiunto un accordo in merito alla deroga sui brevetti per la produzione di vaccini anti-Covid. Ad avanzare la richiesta erano stati inizialmente India e Sudafrica, che avevano anche raccolto numerose altre adesioni. Ma il fronte del no proveniente dai Paesi più industrializzati si è fatto sentire forte e chiaro. Tra questi, Usa, Ue, Gran Bretagna, Svizzera, Giappone, Australia, Canada, Norvegia e Brasile. Tutto questo è avvenuto nonostante i tanti appelli provenienti dal basso, dalle organizzazioni e anche da rappresentanti Oms. La settimana scorsa, infatti, sessantasette organizzazioni avevano firmato una lettera rivolta direttamente al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai presidenti di Camera e Senato. La richiesta era chiara: sostenere la sospensione dei brevetti. A richiedere una sospensione dei brevetti, anche il presidente dell’Oms, Adhanom Ghebreyesus, che si è chiesto: “Se non ora, quando?”.

La posizione dell’Ue

Eppure, la posizione dell’Ue nell’ambito del Wto è ormai nota, e la giustifica nella giornata di venerdì la portavoce della Commissione per il Commercio Miriam Garcìa Ferrer: “La posizione dell’Ue è che il problema dell’accesso ai vaccini non verrà risolto sospendendo i brevetti. I problemi sono legati alla mancanza di una capacità produttiva sufficiente a realizzare le quantità richieste. In questo contesto accogliamo molto favorevolmente le dichiarazioni della nuova direttrice generale della Wto, Ngozi Okonjo Iweala, che ha detto che dovrebbe esserci una ‘terza via’ per ampliare l’accesso ai vaccini, facilitando il trasferimento delle tecnologie entro il quadro normativo multilaterale, in modo da incoraggiare la ricerca e l’innovazione, consentendo nel contempo accordi di licenza che aiutino a incrementare la capacità produttiva”.

Poi la portavoce specifica: “Nel caso ci siano problemi nella condivisione volontaria delle tecnologie, siamo lieti di discutere nel quadro della Wto quali altri mezzi abbiamo, all’interno della flessibilità permessa dall’accordo Trips (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights)”, come “la licenza obbligatoria dei brevetti, senza il consenso del titolare”. Quest’ultima prevede il pagamento di royalties a fronte della cessione forzata del brevetto per un periodo di tempo limitato.
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Pro e contro

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Insomma, l’Ue prende tempo per evitare la linea più drastica, che comunque richiederebbe anni. L’Ue sembra voler tenere un piede in due staffe: i brevetti dei vaccini attualmente non verranno toccati, si tenterà di agire piuttosto con accordi di licenza. Ma basteranno? Attualmente la maggior parte di produttori di vaccini che ha attivato collaborazioni con altre aziende farmaceutiche, non ha attivato collaborazioni che arrivano a vere e proprie produzioni sotto licenza. Le aziende hanno piuttosto condiviso alcune attività produttive in modo da accelerare i tempi di produzione, che rimane però centralizzata. E il risultato di questa linea è evidente: i vaccini non bastano, restiamo in attesa della produzione di aziende farmaceutiche necessariamente troppo piccole per soddisfare un bisogno di scala mondiale. A tutto questo si aggiungono i rallentamenti del caso, come il ritiro del vaccino AstraZeneca, rallentamenti che ora non potranno neanche essere controbilanciati da un incremento nella produzione degli altri vaccini. Insomma, la questione – nonostante sia molto complessa – appare chiara: il problema è globale, e necessita di una produzione su scala globale. E tutti i Paesi dovrebbero avere il compito, attualmente, di rimuovere tutti i vincoli legali che impediscono una risoluzione di questo tipo.

L’altra argomentazione contraria a un’azione sui brevetti ribadisce: il problema è che anche in presenza di una sospensione dei brevetti, diversi Paesi non avrebbero la tecnologia necessaria per produrre i vaccini autonomamente. In questo caso si andrebbe a infliggere un’azione coercitiva su un sistema economico-commerciale, senza ottenere i risultati sperati. Questo punto è in parte condivisibile. L’Italia attualmente sembra avere tecnologia e capacità industriali necessarie per coprire solo alcune fasi della produzione di un vaccino. Molte aziende italiane, ad esempio, hanno la capacità tecnologica per occuparsi dell’infialamento del vaccino (la seconda fase), ma non potrebbero occuparsi della produzione del “principio attivo” (prima fase). Inoltre, per adeguare le strutture a una nuova produzione di vaccini su licenza di un’altra azienda servirebbero in genere almeno sei mesi. A questi vanni aggiunti tre mesi in cui le aziende che detengono i brevetti dovrebbero avere il compito di spiegare tecniche e metodi di produzione.

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Per questo il commissario Ue Breton ha proposto un piano che prevede il raggiungimento di “piena autonomia produttiva” entro 12-18 mesi attraverso l’integrazione delle competenze delle aziende dei diversi Paesi Ue: attualmente nessun Paese può produrre autonomamente un vaccino su licenza. Ma se gli Stati membri dovessero unire le catene produttive, il fattore tecnologico verrebbe soddisfatto. Il problema è che richiederà tempo. Ne vale la pena? Basti pensare che il vaccino è l’unica soluzione per uscire dalla pandemia. Insomma, la linea dell’Ue sembra esser quella di evitare al momento una sospensione sui brevetti, tirando a campare con accordi di licenza e armandosi tecnologicamente per colmare i vuoti di produzione. Ma se le dosi rimarranno insufficienti, appare evidente che la vera domanda non sarà se si agirà sui brevetti, ma quando lo si farà.

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