Da oggi quasi tutta Italia è di nuovo in lockdown. Il “modello italiano” di convivenza con il virus sembra aver mostrato i suoi limiti.
Convivere, non debellare. Limitare, non vietare. Restringere, non chiudere. Il modello italiano di convivenza con il virus puntava ad evitare chiusure generalizzate, agendo invece per fasce ristrette mirate al contenimento del rischio di diffusione del virus. Giuseppe Conte, quand’era ancora Presidente del Consiglio, aveva cambiato strategia, durante quella che si palesava come la fase 2 – e poi la fase 3 – dell’epidemia. Non un approccio generalizzato, dunque; ma diverso da regione a regione in base al calcolo dei fattori di rischio e degli indici di contagio. Abbiamo così convissuto con zone gialle, arancioni e rosse; salvo poi, qualche giorno fa, ritrovarci a prospettare nuovamente in un’Italia tutta rossa, o quasi.
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E infatti, da oggi è in vigore un nuovo decreto legge, che prevede che alle regioni in zona gialla si applichino le stesse misure della zona arancione. La Sardegna è l’unica regione in zona bianca, mentre sono passate in zona rossa Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Veneto e la Provincia autonoma di Trento, così come Campania e Molise. La Basilicata, precedentemente zona rossa, da domani tornerà arancione. E arancione sono anche le altre regioni, come la Toscana, che vede però 3 sue province – Arezzo, Pistoia e Prato – in zona rossa. Addio giallo, quindi; e ben ritrovate restrizioni, a partire dal divieto di uscire di casa, se non per motivi di lavoro, necessità e salute. Sospese gran parte delle attività commerciali, che pagano il prezzo più alto della crisi; così come pagano prezzo gli studenti, dal momento che zona rossa vuol dire sospensione di tutte le attività didattiche in presenza.
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“Modello Italia”, qualcosa è andato storto
Il “modello Italia” , insomma, ha mostrato nel tempo tutte le sue fragilità. L’Italia, all’inizio della pandemia, è stata presa da esempio da tutti gli altri Paesi ma la gloria è durato giusto il tempo della prima ondata e del primo lockdown. Il mito si è sfaldato già in estate, quando l’allentamento delle misure ha scatenato un’ondata di contagi più forte della prima. E in estate, nessuno sembra essersi preparato a reggere una seconda ondata che, una volta arrivata, è stata più complicata della prima. Se il New York Times aveva speso buone parole per Conte, ad ottobre 2020 uno studio dell’Università di Oxford evidenziava come il nostro paese abbia fallito nella gestione della pandemia, specie sul piano economico. Ristori in ritardo e comunque insufficienti a reggere l’onda d’urto hanno aggravato maggiormente la condizione di moltissimi lavoratori e gli esercenti hanno chiuso i locali, lasciando all’interno malumore e lacrime.
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Oggi come allora
Il Coronavirus ha compiuto un anno il 20 febbraio. Un anno fa il “paziente 1” di Codogno faceva il giro di tutti i Tg e per l’Italia iniziava la dura lotta contro il Coronavirus che, nel giro di pochissimo tempo, ha stravolto le vite di tutti. Lotta che, dopo 12 mesi, non è ancora finita. E non è neanche finita la logica dei lockdown, come se chiudere tutto possa essere davvero la soluzione contro la pandemia. E infatti, anche il lockdown ha spento le candeline. Le restrizioni, le limitazioni, le zone rosse sarebbero dovuto durare solo 15 giorni. Ci venne detto così, alla prima conferenza stampa di Giuseppe Conte. “Chiudiamo oggi per riaprire in sicurezza domani”, è il motto che ci ha accompagnato per moltissimo tempo, illudendoci che prima o poi la normalità sarebbe tornata. Così non è stato e, dopo dodici mesi, la situazione è quasi identica. Un disastro mondiale che ha messo in crisi ospedali, sanità, economia, equilibrio sociale, psiche dell’individuo e che non sembra voler finire.
Insomma, il “modello italiano” era sembrato quello più valido per reggere l’onda d’urto del Covid ma, a valutare gli effetti, le stime sembrano essersi rivelate solo illusorie. La situazione economica in cui versano migliaia e migliaia di persone è catastrofica e la povertà, nell’anno della pandemia, ha sfiorato un record che non si vedeva da quindici anni. Secondo i dati dell’Istat, un italiano su dieci si trova in grave difficoltà economica e l’incidenza della povertà assoluta cresce sia in termini di nuclei familiari sia in termini di individui. Le famiglie sono entrate in crisi e chi godeva di una situazione stabile si è trovato a vivere, inaspettatamente, un incubo dal sapore amaro. I “nuovi” poveri sono diventate le vere vittime della pandemia. Il Coronavirus ha evidenziato tra le altre cose anche la debolezza del sistema sanitario italiano che, fin dai primi casi, non ha retto alla pressione. Ci siamo così ritrovati con ospedali pieni, medici assenti e dispositivi mancanti: non eravamo pronti alla catastrofe e hanno inciso, su questo, anche i numerosi tagli fatti negli anni proprio alla sanità, tagli dovuti alle politiche di austerity degli ultimi dieci anni.