Nella giornata di oggi è stato eletto il nuovo segretario del Pd: si tratta di Enrico Letta, confermato dall’Assemblea con 860 voti a favore, 2 contrari e 4 astenuti. Letta, questa mattina, ha dichiarato di voler “spalancare” le porte del Nazareno a sindacati e imprese. Inoltre, Letta ha ribadito di voler attendere per comprendere che tipo di direzione assumerà il M5s a guida Giuseppe Conte. Insomma, l’alleanza con il M5s non è affatto archiviata. Ma non è proprio su questo punto che si è consumata la lotta tra correnti che ha portato alle dimissioni di Nicola Zingaretti?
Enrico Letta dice basta alle correnti, basta all’autoreferenzialità del Pd, basta al Gruppo Misto in Parlamento inteso come panacea per i cambi di casacca in piena legislatura. E’ un leader che dice basta a diverse cose, il nuovo segretario del Pd Enrico Letta, eletto nella giornata di oggi dall’Assemblea con 860 voti a favore, 2 contrari e 4 astenuti. Una maggioranza bulgara che, di fatto, lo incorona alla guida del Pd a qualche anno di distanza dal famoso “Stai sereno” di Matteo Renzi. Una bella rivincita, che sembra anche suggellata da quanto ribadito durante il discorso di apertura di questa mattina: uno dei problemi cruciali, dice Enrico Letta, è l’assenza del vincolo di mandato, ovvero la possibilità di confluire nel Gruppo Misto in piena legislatura, abbandonando il proprio partito di origine. Mancava solo che aggiungesse un “come ha fatto Matteo Renzi” per corredare il riferimento e togliere ogni dubbio.
Ad ogni modo, Enrico Letta sembra incentivare un cambio passo su tutto, o quasi. Tra i “basta” manca, effettivamente, un “basta con l’alleanza con il M5s”. Anzi. Letta ribadisce di voler vincere le elezioni 2023 in coalizione, dialogando “con rispetto e ambizione” con le forze politiche più affini. Tra queste, c’è evidentemente anche il “Movimento 5 stelle guidato da Giuseppe Conte“, dice Letta. Il motivo è anche di carattere pratico, e Letta lo ribadisce guardando direttamente la camera: “Quando siamo andati per conto nostro abbiamo perso”. Insomma, il Pd ha bisogno di compagnia.
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Cosa fare e come farlo
Il Pd ha bisogno di un alleato, ribadisce Letta, per portare a termine un’operazione di apertura del partito, composto da “progressisti nei valori, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti. L’apertura sarà il mio motto. Spalanchiamo le porte del partito”. L’idea è di dar vita a un nuovo centrosinistra, in grado di affrontare sfide importanti come la questione di genere (“Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema sulla parità di genere”); maggiore spazio e attenzione da dare ai giovani; l’introduzione dello ius soli come “norma di civiltà”, la riforma della giustizia, la transizione digitale ed ecologica. Per farlo, però, il Pd deve superare le correnti interne. “Sono stato un uomo di corrente per tutta la mia vita, però un partito che lavora per correnti come qui da noi, non funziona. Non appena sono tornato ho studiato le correnti attuali, ora mi candido a fare il segretario ebbene: ancora non ho capito qual è la geografia delle correnti. Dobbiamo superare insieme questa sclerotizzazione”.
Letta e la coalizione con il M5s di Conte
In sostanza, secondo Letta il Pd deve superare un ostacolo interno e un ostacolo esterno. Quello interno consiste, appunto, nell’instabilità e nell’incertezza causate dalla presenza di moltissime correnti interne. L’ostacolo esterno, invece, consiste nell’assenza – attualmente – di un alleato in grado di garantire maggiore incisività al Pd. Per questo ora il Pd ha il compito di “fare da motore” del governo Draghi, ma pensando già al 2023. “Abbiamo vinto solo quando abbiamo fatto coalizioni, nel 1996 e nel 2006, entrambe guidate da Romano Prodi“. Per questo “parlerò con Speranza, con Bonino, con Calenda, con Renzi, con Bonelli, Fratoianni, con tutti gli altri possibili interlocutori anche nella società”. E guarderà con attenzione all’ipotesi di consolidare l’alleanza giallorossa costruita da Zingaretti.
Le risposte, dall’altro fronte, sono anche arrivate. L’ex premier Giuseppe Conte avrebbe scritto su Twitter: “Auguri di buon lavoro al nuovo segretario del Partito Democratico Enrico Letta. Nel suo intervento ha indicato tanti obiettivi sui quali è assolutamente necessario il confronto e il comune impegno per il bene del Paese“. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sostiene che “insieme possiamo raggiungere obiettivi importanti per l’Italia”. A commentare anche Roberto Fico, secondo cui “ci sono dei punti in comune importanti con il Movimento 5 Stelle, a riprova di un percorso comune che può proseguire, sempre nel rispetto della reciproca autonomia“. Insomma, i prodromi per un dialogo sembrano esserci tutti. Ma a questo punto è legittimo porsi una domanda.
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Non lo diceva anche Zingaretti?
La situazione è questa: Enrico Letta ha auspicato un cambio passo su tanti punti, ma mantiene la stessa linea su un punto fondamentale. Il problema è che il punto in questione è stato una delle cause principali delle dimissioni di Nicola Zingaretti, e riguarda la coalizione con il M5s, appunto. Sulla questione il Pd non prevede un cambio di rotta, ribadendo un’osservazione già avanzata dal primo sostenitore di questo asse Pd-M5s: il Partito democratico ha bisogno di un’alleanza per le prossime elezioni. Così le ipotesi sono due: o Zingaretti è stato spinto alle dimissioni per altre motivazioni, o Letta rischia di riproporre una ricetta pericolosa per l’unità interna del Pd. Unità che già preoccupa l’ex premier, il quale auspica un confronto interno sincero, senza doppiogiochismi.
Nuovo segretario, cielo sereno?
Ed è proprio su questo punto che rischia di fallire anche l’ennesimo tentativo del Pd di trovare una “nuova identità”, “un nuovo centrosinistra”, un “nuovo rapporto con la base”. Enrico Letta ha ottenuto 860 voti a favore, ma siamo sicuri che tutti nel Pd siano d’accordo con quanto esposto dall’ex premier? Siamo sicuri che Letta non rappresenti l’ennesimo segretario sfruttato dal partito per tirare un po’ a campare, pronto ad esser sacrificato non appena i diversi umori torneranno a farsi sentire? No, non siamo sicuri di tutto questo, anzi. Proprio nella giornata di ieri Luca Lotti, esponente della corrente Base Riformista, aveva detto al Messaggero: “Letta parta dall’agenda Draghi e aiuti a portare il Pd verso una linea di azione chiara e un’autonomia politica, anche dal M5s: Conte era stato indicato come riferimento dei progressisti, ma faccio notare che nel frattempo è diventato leader di un partito. Per mesi abbiamo parlato di alleanze strategiche o alleanze politiche, senza coinvolgere nella discussione la nostra gente. Spero che nel Pd prima si ritrovi una solida autonomia identitaria e poi si parli di alleanze. Non il contrario”. Insomma, il rappresentante di una corrente significativa del Pd non ha speso parole di totale apertura nei confronti del M5s.
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Dall’altro lato, anche la corrente più a sinistra del Pd sembra concordare. Matteo Orfini in data 10 marzo, quattro giorni fa, ha ribadito: “Ora serve eleggere un segretario unitario, che ci porti al congresso il prima possibile e che ci faccia discutere, archiviando le forzature fatte da Zingaretti. Per me l’alleanza col M5s va archiviata. Se si propone al Paese il proporzionale non servono alleanza, segnalo che nei territori alle Regionali dove abbiamo sperimentato l’alleanza col M5s abbiamo perso, dove l’alleanza non c’è stata abbiamo vinto“. Oggi Enrico Letta viene eletto segretario con 860 voti a favore, 2 contrari e 4 astenuti, sostenendo una possibile alleanza con il M5s. Quanto durerà?