Il Ministro Renato Brunetta si esprime così sul lavoro agile, definendo lo smart working una rivoluzione culturale e sociale.
Mascherina e protezioni. Contatti quasi nulli. Ad un anno dallo scoppio della pandemia, sono molteplici le cose a cui ci siamo tristemente abituati. Sono cambiate le nostre abitudini, sono crollate le nostre certezze, la nostra giornata ha preso una forma diversa. A cambiare è stato anche il lavoro, che con lo smart working ha trovato una nuova chiave di lettura. Mai come in quest’anno, il digitale ha mostrato tutte le sue potenzialità, ma anche le sue debolezze. La didattica a distanza si è scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione italiana e, nonostante gli sforzi, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Percentuali che si complicano per gli alunni con disabilità, che salgono a quota 23% tra gli alunni con disabilità. Secondi i dati Istat, non dispongono di connessione a Internet e pc il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Per quanto riguarda le famiglie del Mezzogiorno, nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.
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Insomma, la didattica e il lavoro a distanza hanno avuto dei pregi ma anche molti difetti e diverse problematiche organizzative. “Il lavoro agile è stato forse il più grande esperimento sociale di questa pandemia del nostro Paese, quindi non posso che pensare bene rispetto a questa rivoluzione culturale, personale, legata al lavoro e alle famiglie, che coinvolge l’intera società, le imprese e gli uffici”, ha detto il Ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta. In effetti, quello dello “smart” è stata senza dubbio un’ esperienza, ma le complicanze non hanno atteso a palesarsi. Ad esempio, diversi studi hanno dimostrato l’aumento dello stress psicologico, mancanza di orari, difficoltà di scindere tempo libero e tempo lavorativo. A questo, si aggiunge la questione della mancata regolamentazione, che porta troppo spesso i lavoratori ad essere sfruttati e sottopagati. Del resto, molte aziende hanno guadagnato in termini di costi dalla modalità di lavoro a distanza, non dovendo sostenere spese di apertura degli uffici, come l’elettricità.
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“Non pensiamo che sia il toccasana delle garanzie del lavoro ma è una forma ulteriore su cui abbiamo fatto un apprendimento obbligatorio di massa ma deve essere valorizzato. Lo smart working deve essere serio, contrattato, libero, premiato, controllato”, dice Brunetta. Quanto alla creazione di hub specifici per lo smart working, Brunetta chiarisce: “Se si vuole lavorare da casa si lavora da casa, altrimenti si va nel posto di lavoro. Capisco l’importanza della ‘contaminazione’, ma conosco il mio Paese e non vorrei che dietro si nascondesse una speculazione immobiliare”, ha concluso.
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