Eterogenesi dei fini e scelte politiche, la crisi del PD risale all’estate del 2019

La crisi del PD si trascinava da tempo e alla fine Nicola Zingaretti ha mollato. I problemi erano iniziati già nel 2019, quando Matteo Salvini aprì la crisi di governo del Conte I.
La crisi del PD è colpa di Matteo Salvini. Ironie a parte, era l’estate del 2019 quando il leader della Lega – un po’ come fatto da Matteo Renzi, ma senza Coronavirus – aprì la crisi. Dopo alcune settimane di tensione nella maggioranza giallo-verde, l’8 agosto 2019 Salvini annunciò l’intenzione di ritirare il sostegno del suo partito al governo, chiedendo le elezioni anticipate e prospettando la nascita di una coalizione di centro-destra aperta anche a Silvio Berlusconi e a Giorgia Meloni. La mozione di sfiducia nei confronti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte fu il primo passo verso la disfatta del Conte I anche se, dopo poco, Salvini ritirò la mozione di sfiducia. Giuseppe Conte decise comunque di porre fine all’esperienza di governo e il leader leghista cercò di accordarsi con il M5S, ma senza successo. Nacque così quell’alleanza tra Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali: quella maggioranza parlamentare che, dopo poco, avrebbe preso il nome del Conte-ter.
Leggi anche: Crisi Pd, senza Zingaretti salta il progetto con il M5S
Ne derivò la nascita del governo giallorosso e oggi quell’accordo tra PD e M5s ritorna in mente, proprio mentre il primo entra in crisi. In effetti, un primo contraccolpo dei democratici si ebbe proprio durante quell’estate e, l’esperienza di quel governo, determinò di fatto la disfatta del Movimento e del PD, persi dietro l’ombra di Giuseppe Conte. Il PD, ora, soffre le dimissioni di Zingaretti e anche l’incoronazione di Giuseppe Conte a nuovo capo politico del Movimento 5 Stelle; l’assenza di una linea lo rendono un contenitore vuoto. E’ saltato, dunque, l’accordo con i pentastellati. Nicola Zingaretti, all’apertura della crisi, aveva ribadito con forza il nome di Giuseppe Conte, intoccabile. L’alternativa, sarebbero state le elezioni e alla fine ha detto sì a Mario Draghi. Del resto l’ex-segretario aveva detto esplicitamente “mai con i 5 Stelle” per poi trovarsi nello stesso governo.
Leggi anche: Il ritorno di Enrico Letta: ultima possibilità di salvezza per il Pd. Ma i riformisti chiedono una svolta
E ora?
Difficile che Nicola Zingaretti possa cambiare idea. Il post polemico su poltrone e accese rivalità interne con cui ha sancito il suo abbandono lasciano poco ben sperare. “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”, scriveva su Facebook l’ormai ex segretario. Il partito sembra non aver trovato punto di incontro proprio sul nodo M5s. Da una parte, quelli che sostenevano l’alleanza con i pentastellati; dall’altra chi poneva veti assoluti. Il governatore del Lazio ha gestito da sempre un partito che pesava ancora di Matteo Renzi e che nel 2018 ha visto candidature con liste decise a tavolino.
E adesso? Il governatore rimane saldamente alla guida della regione Lazio e si potrebbero per lui aprire le porte per una candidatura a sindaco di Roma. Intanto, prosegue il pressing su Enrico Letta ed è attesa per domenica l’assemblea del PD.