Coronavirus, il Comitato tecnico scientifico fa pressione per nuove chiusure

Il Comitato tecnico scientifico preme per nuove misure restrittive, ma il Paese non può reggere un’altra chiusura generalizzata.

Nessun lockdown nazionale, ma nuove restrizioni subito che possano frenare l’andamento del contagio. Il Comitato tecnico scientifico ha confermato, nel parere richiesto dal Governo, la criticità della situazione che richiede misure restrittive più forti di quelle in vigore. Tocca ora al Governo valutare le indicazioni del report dell’Istituto di Sanità. Seguiranno ulteriori vertici con la cabina di regia anti Covid e le Regioni, dopodiché si deciderà per un nuovo Dpcm oppure per integrazioni a quello in vigore solo da qualche giorno. L’indicazione del Comitato sarebbe chiara: bisogna rafforzare le misure per le zone gialle per ridurre i contatti e rendere le zone rosse locali più stringenti, sul modello Codogno.

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Le misure più rigide potrebbero riguardare le chiusure su tutto il territorio nazionale nei fine settimana, come già accaduto durante le vacanze di Natale. Tra le altre indicazioni del Cts c’è anche quella di estendere la campagna vaccinale a più soggetti possibili e la necessità di potenziare il sequenziamento del virus per individuare prima possibile le varianti. Tuttavia, al momento, l’ipotesi di una chiusura totale non mette d’accordo tutte le forze politiche di maggioranza anche se Roberto Speranza sembra tendere verso l’ala dei rigoristi. Lega e Forza Italia, invece, restano scettiche nei confronti di soluzioni che potrebbero penalizzare le attività produttive ed anche il sottosegretario alla Salute M5s Pierpaolo Sileri frena su un lockdown.

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Fra le misure tecniche proposte, quella di far scattare automaticamente la zona rossa nei territori in cui vengono superati i 250 casi ogni 100mila abitanti, il criterio utilizzato per la chiusura delle scuole. In linea generale, si pensa di inasprire le regole dove le scuole sono chiuse, per ridurre il più possibile i luoghi di aggregazione. Al vaglio anche la chiusura dei centri commerciali e dei grandi magazzini. Per quanto riguarda la chiusura delle Regioni, al momento prevista fino al 27 marzo, questa potrebbe essere prorogata. La riapertura di cinema, teatri, sale concerti,  prevista per il 27 marzo, potrebbe invece slittare.

Ma la povertà aumenta 

Intanto, la situazione economica è catastrofica. La povertà, nell’anno della pandemia, sfiora un record che non si vedeva da quindici anni. Secondo i dati dell’Istat, un italiano su dieci si trova in grave difficoltà economica e l’incidenza della povertà assoluta cresce sia in termini di nuclei familiari (+335mila), sia in termini di individui (+1,7% in un anno). Ad entrare in crisi sono soprattutto le famiglie, quelle in cui il capofamiglia non è un disoccupato ma è anzi un operaio oppure un autonomo. L’incremento , nei nuclei familiari con almeno cinque persone, è pari al 20,7%. A veder peggiorare la propria condizione sono soprattutto le famiglie con un solo genitore, seguite dalle coppie con un figlio e quelle con due figli a carico.

I “nuovi” poveri sono le vere vittime della pandemia. Nuovi, perché per un certo verso a pagare sono coloro che, in seguito alla pandemia, si sono ritrovati senza lavoro o hanno subito perdite per via di lockdown e di chiusure. Proprio in questi giorni, tra l’altro, si fanno sempre più insistenti le voci che vedono all’orizzonte una nuova chiusura totale per l’Italia, a causa dell’andamento dell’epidemia e della circolazione delle varianti. Il lockdown, l’unica soluzione secondo gli esperti per frenare il contagio, andrebbe ad aggravare ancor di più la situazione economica e sociale di moltissime famiglie. Possiamo permettercelo? Forse la risposta è no.

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Pandemia e lockdown stanno rendendo poveri gli italiani e le conseguenze si fanno sentire anche sugli adolescenti. La presenza di figli minori espone maggiormente le famiglie alle conseguenze della crisi. L’incidenza della povertà assoluta sale, infatti, passa al 13,6%: bambini e ragazzi poveri sono 1 milione e 346mila, 209mila in più rispetto all’anno precedente. E pesa, tra i fattori di incidenza, anche la variabilità regionale. Se il Nord fa fatica, il Sud resta più povero. L’incremento della povertà assoluta registrato nel 2020 nel Nord del Paese riguarda 218mila famiglie, per un totale di 720mila individui. Nel mezzogiorno, la povertà assoluta coinvolge il 9,3% delle famiglie contro il 5,5% del Centro.

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