Credevano tutti fosse un doppio suicidio, poi le tracce di proiettili: Riccardo e Dario Benazzi ammazzati nel campo dove il primo sognava di costruire un impianto eolico. Un sogno trasformato in un incubo. Le ipotesi della morte dei cugini Benazzi sono ancora tutte da verificare. All’inizio credevano tutti fosse un doppio suicidio, poi quelle tracce e allora si è fatta avanti la certezza che si tratti di un duplice omicidio. Riccardo Benazzi, aveva 64 anni, è morto il 28 febbraio assieme a suo cugino, Dario, che aveva sei anni più di lui e che era una delle pochissime persone che gli fosse rimasto amico da quando la sua esistenza era andata a rotoli. Li hanno trovati carbonizzati tutti e due a Rero, frazione di un Comune del Ferrarese che si chiama Tresignana.
I due cadaveri sono stati trovati sui sedili posteriori dell’auto intestata alla moglie di Riccardo. L’autopsia e una tac avrebbero confermato (la relazione scritta arriverà in Procura oggi) quello che non era possibile vedere a occhio nudo date le condizioni dei corpi, e cioè che i due cugini sono stati uccisi a fucilate. Con tutta probabilità non nel punto in cui è stato dato fuoco all’auto ma 800 metri più in là, dove i carabinieri del Reparto operativo di Ferrara hanno trovato macchie di sangue (esami del Dna ancora in corso) e da dove un contadino della zona avrebbe sentito arrivare il rumore dei colpi di fucile, verso le 21.30 di quella sera. Non un luogo qualsiasi, ma il posto dei sogni infranti di Riccardo Benazzi. Infatti, l’uomo ogni santo giorno, ogni volta che parlava del suo futuro pensava al suo sogno nel cassetto: al brevetto per costruire il prototipo di un impianto eolico particolare, capace di catturare la forza del vento anche a bassa intensità per trasformarla in energia elettrica.
Nel luogo in cui sono morti i due cugini c’è ancora un traliccio che doveva essere parte del prototipo ideato da lui e da Davide Pellizzari, un suo ex collega. Ex poichè Riccardo fu cacciato dalla Gaia, la società che si occupa di turbine eoliche ad alto rendimento di cui era stato socio fondatore. Fu messo alla porta perché aveva compiuto operazioni irregolari e perché, come sostengono i suoi soci “si era affidato a soggetti ritenuti totalmente inaffidabili e inadeguati per portare avanti un progetto di tale portata”. I colleghi accusavano Riccardo di stalking, tentata estorsione, molestie. “Nel giro di pochi mesi sono arrivati i guai giudiziari, lui si è ritrovato senza un lavoro e con una montagna di debiti a cui far fronte. Cibo alla Caritas e non sempre un tetto sulla testa. Una vita da sbandato, in pratica.”
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L’ossessione di Riccardo era il brevetto che voleva prendere a tutti i costi. L’uomo era molto legato a suo cugino Dario che, molto probabilmente, si è trovato con lui per caso il giorno dell’omicidio. Chiunque lo abbia commesso è andato all’appuntamento nel luogo esatto in cui Riccardo Benazzi aveva coltivato il sogno di diventare ricco, l’ultimo scorcio che i suoi occhi hanno visto. Fosse anche solo per questo, la storia del prototipo fa parte del finale della sua vita, anche se gli inquirenti escludono che abbia un legame diretto con il duplice omicidio. Le indagini, comunque, puntano ai suoi contatti degli ultimi tempi, alle poche persone viste e frequentate, forse gente a cui ha chiesto soldi che non è più riuscito a restituire.
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