Il drammatico annuncio di Nicola Zingaretti arrivato su Facebook genera ancora più caos sul Pd in via di disfacimento. Tra le varie motivazioni, lo scontro sull’alleanza con i grillini ha giocato un ruolo fondamentale.
La crisi del Pd e del segretario Zingaretti non erano certo un mistero. Il suo messaggio di dimissioni con un post su Facebook ha tentato di farlo passare dalla parte della vittima con una nota drammatica di sottofondo. “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid. C’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”. Il riferimento è alle pressioni che il partito stava facendo per non rimandare al 2023 le primarie e la necessità di fare un congresso per riprendere le redini del partito e ridargli un’identità. Quell’identità che tra le varie anime delle correnti interne del partito e la fortemente ricercata alleanza con il Movimento 5 Stelle avevano messo in discussione. A causa di questa perdita di bussola molti pezzi del Pd hanno lasciato la barca e la colpa la reputano quasi esclusivamente a Zingaretti che sembrava più interessato al Movimento che al suo stesso partito.
“Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità.” Continua ancora Zingaretti manifestando il suo sacrificio per il Partito Democratico. Il suo gesto coglie di sorpresa tutti i parlamentari che non erano a conoscenza della sua decisione. Le reazioni sono state diverse. Dalla corrente che gli gravita intorno, quella che fa capo a Orlando, sia Franceschini che Bettini sperano in un ripensamento del segretario del Pd. Questo imporrebbe a tutto il partito di deporre le armi e seguirlo. Anche gli esponenti di minoranza, ex renziani come Marcucci e Guerini che pochi giorni prima avevano criticato la sua scelta di rimandare il consiglio, chiedono un ripensamento.
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Le scosse di terremoto dopo la caduta del governo Conte si stanno facendo ancora sentire. Le dimissioni di Zingaretti arrivano dopo uno scontro esasperato tra il segretario e le varie correnti interne, dissidi e malcontenti che non riuscivano a risanarsi. La stessa cosa è accaduta al Movimento 5 Stelle che già all’alba del nuovo governo iniziavano a dare i primi segni di scissione. Due partiti e due leadership non abbastanza forti da tenere unito il proprio partito. Ribellioni interne contro gli stessi segretari o capi politici che siano. Le due forze di governo, diventate forti insieme con l’alleanza giallorossa del governo Conte bis con la caduta dell’esecutivo dell’ex premier si sono dispersi come mosche. Cercare di rinsaldare i ponti non sembra servito a nulla, anzi, l’ossessiva ricerca di unione e di alleanza con i grillini ha portato Zingaretti a dare le dimissioni.
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Lo scontro maggiore è avvenuto per questo motivo. I dem chiedevano che si facesse ordine nel partito e che si desse una linea da seguire, prima di insistere sull’alleanza con il M5S. Ad oggi, quello che rimproverano i dem riformisti e i detrattori di Zingaretti interni, è la mancanza di un programma, una carenza di idee e progetti per il futuro in questo governo Draghi. L’autorità e la credibilità del Pd rischia di essere eclissata dalle nuove tendenze europeiste centriste. Questi punti non potranno essere eliminati, rimangono il problema centrale del Pd. Zingaretti, seppur riconfermato all’assemblea del 13 marzo, dovrà farne i conti e non potrà più far finta di non vedere le debolezze del suo partito, sempre più minacciato dagli alleati pentastellati.
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