La scomparsa di Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci ha lasciato in tutti un’amara tristezza. Ancora ci si interroga sull’accaduto. E a fornire spiegazioni è il World Food Programme dell’Onu. Tre parole in codice: “Asse rosso negativo”.” Nelle comunicazioni via radio di chi lavora in Congo, l’asse rosso è l’allerta. E vuol dire che su quella strada occorre una scorta armata, fornita dai caschi blu della missione Monusco o dall’esercito congolese. “Asse rosso, negativo”, invece, è il messaggio che la sicurezza italiana riceve venerdì alle 10.30, appena atterra a Goma col jet 5y-Sim della Monusco. Ci sono 72 ore di tempo per verificare le condizioni delle strade con l’Undss, il dipartimento per la sicurezza dell’Onu che deve proteggere gli internazionali: il tempo che serve anche a preparare l’agguato, mentre Attanasio inizia il suo breve e ben visibile tour umanitario. “Asse rosso, negativo”: è su quel via libera, forse troppo superficiale, che adesso si concentrano le indagini dei Ros volati lunedì da Roma nel Nord Kivu.
Il ritorno in Italia
Nell’ospedale di Goma, i carabinieri ascoltano il racconto scioccato del vicedirettore locale del Wfp, Rocco Leone, che era sulle jeep ed è scampato all’attentato. “Di solito, chi va a Rutshuru è scortato dalla polizia”, spiega un missionario. “Quella strada non è particolarmente pericolosa, da anni ci viaggiamo senza problemi“, dice un volontario italiano che vive a Goma, Nicolò Carcano: “Ma Attanasio non era un semplice umanitario. Era un ambasciatore. E credo ci debba essere un trattamento diverso, per un ambasciatore.” Le bare tornano in Italia al buio, con tutti gli onori dovuti ai militari, caduti in battaglia. Coperte dai fiori a Kinshasa le accarezza Zakia, la moglie di Luca, che tiene le tre bambine protette dalla tragedia. E abbracciate dai tricolori le riceve a Ciampino il premier Mario Draghi. Prima, le autopsie: gli investigatori dei Ros hanno preteso che i congolesi toccassero il meno possibile la scena del crimine, chiedendo di controllare le armi di tutti i soldati e i ranger della sparatoria.
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I proiettili
Resta da capire, però, di chi sono i proiettili che hanno ucciso Attanasio e Iacovacci. Il ministro dell’Interno di Kinshasa è riuscito in 24 ore a twittare (e poi cancellare) che l’agguato era “specificamente mirato contro l’ambasciatore italiano”, concludendo che i machete e i cinque Ak-47 appartenevano di sicuro ai guerriglieri hutu del Fdrl, il Fronte democratico di liberazione del Ruanda. Noi non c’entriamo, ha smentito in un attimo il Fronte, e poco conta che i banditi parlassero ruandese in una regione dove il ruandese lo parlano tutti: “Anziché ricorrere ad accuse frettolose, chiediamo un’inchiesta indipendente per fare piena luce sulle responsabilità di questo ignobile assassinio. Il convoglio è stato attaccato non lontano da postazioni delle forze armate congolesi e dell’esercito ruandese.” Sulla questione bisogna ancora far luce: il capo della polizia locale ripete che nessuno sapeva della presenza dell’ambasciatore. E i rapiti del convoglio? Mistero su chi siano, e se ci siano. “È stato un attacco insolito”, commenta Christophe Garnier, capo dei medici Msf in Congo: “L’ha organizzato gente esperta. E se gli ostaggi sono stati uccisi, forse era per mandare un messaggio. A chi? Non è chiaro.”