I numeri dei decessi aumentano, nonostante le chiusure, nonostante le buone intenzioni di governo e cittadini. Nella giornata di oggi è stata superata la soglia dei 95mila decessi dall’inizio della pandemia. Difficile non vedere in questo numero anche una clamorosa sconfitta della sanità pubblica italiana, da anni sottoposta a tagli e privatizzazioni.
La giornata di oggi assume un colore un po’ più cupo: l’Italia ha superato la soglia dei 95mila morti Covid dall’inizio della pandemia, circa un anno fa. Più volte si è cercato di comprendere il perché di questo triste primato, più volte si è cercato di attribuire la colpa all’anzianità della popolazione italiana. Ma è evidente che, pur avendo aiutato ad incrementare il numero di decessi, questa non può esser ritenuta l’unica motivazione. Così come è inesatto continuare a spostare il discorso pubblico sulle polemiche riguardanti le aperture e le chiusure, senza guardare il grande neo della situazione italiana: una sanità pubblica che ha bisogno di un’iniezione di personale, strumenti e investimenti. Aperture e chiusure devono servire a prender tempo, non devono rappresentare l’unica soluzione in campo. O meglio, aperture e chiusure devono servire ad allentare la circolazione del Covid quando lo stress sugli ospedali rischia di diventare pericoloso. Ma è evidente che Germania e Italia hanno soglie di sopportazione diverse. Certo, è difficile rimediare ad anni di tagli e privatizzazioni in un anno, ma puntare il dito sul vero problema (la sanità pubblica) potrebbe essere un buon inizio.
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A supportare questo discorso a favore di una riqualificazione della sanità pubblica e territoriale è il clamoroso fallimento del modello lombardo, sottoposto a tagli continui dall’amministrazione Formigoni in poi. Il modello sanitario lombardo propone l’eccellenza (a pagamento) e smantella la medicina territoriale. Si tratta di un modello estremamente efficace, o quanto meno prestigioso, in momenti di calma. Ma è quando la tempesta incalza che la situazione cambia. E’ quando un’emergenza sanitaria si abbatte sulla realtà che viene svelata tutta la fragilità di un sistema che ha tagliato la rete di base dando spazio alle vette. La rete (territoriale) serve a proteggere tutti, un fattore tanto più importante quanto più una malattia riguarda – appunto – tutti. L’eccellenza privata serve invece a fornire un ottimo servizio al singolo, a patto che paghi. Per questo ora si parla di una riorganizzazione di assessorati, ospedali e medicina territoriale lasciando la direzione a un’unica Agenzia sanitaria regionale. Per questo si parla di potenziamento della medicina territoriale, per questo va abolita la convinzione (tipicamente lombarda) che privato e pubblico siano alternativi ed equivalenti. Il privato dovrebbe rappresentare un’ancella di eccellenza del pubblico, non una sua sostituzione.
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Un’altra prova? L’ottima risposta alla pandemia adottata dal Veneto, dotato invece di una medicina territoriale molto radicata e solida. Il Veneto ha potuto godere di una rete territoriale riorganizzata già a partire dal 2016, anche grazie alla Legge Regionale n.19. La legge prevedeva e prevede l’esistenza di un ente regionale denominato Azienda Zero che gestisce in maniera più centralizzata le funzioni di programmazione e di attuazione socio-sanitaria radicate capillarmente nel territorio. Inoltre la legge ha accorpato le Ulss presenti nel territorio veneto in nove unità e ha incrementato i posti letto negli ospedali di comunità del 15%. I medici di base, invece, sono aumentati del 60%. Insomma, il Veneto in passato ha rafforzato la rete, la Lombardia ha individualizzato i servizi. Ora sappiamo quale modello seguire. Per favore, smettiamola di polemizzare sulle chiusure senza parlare di come evitarle.
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