Agente penitenziario suicida a 56 anni: “Colleghi gli dicevano che era gay e lo umiliavano”

Bari, un agente di polizia penitenziaria si è suicidato a 56 anni con la sua pistola d’ordinanza. Parla l’avvocato Antonio La Scala, amico intimo dell’uomo: “Veniva umiliato dai colleghi, gli dicevano che era gay perché non era sposato e viveva con i genitori”.

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suicidio a Bari, si toglie la vita un agente penitenziario – meteoweek.com (foto di repertorio)

Si è ucciso sparandosi un colpo con la pistola d’ordinanza, l’agente U.P. di 56 anni. L’uomo era assistente capo coordinatore del Corpo di Polizia Penitenziaria. Già da diversi anni in servizio presso il carcere di Turi (Bari), pare che l’agente fosse costantemente vittima di umiliazioni da parte dei suoi colleghi. I suoi amici hanno raccontato agli inquirenti che “in quasi 15 anni di umiliazioni subite, ha sempre rifiutato l’etichetta di omosessuale, ma era questo l’argomento principale con il quale alcuni suoi colleghi lo tormentavano”.

Intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, l’avvocato Antonio La Scala, presidente e fondatore dell’associazione “Gens Nova” della quale l’agente era membro, ha spiegato che soltanto due giorni fa aveva raccolto lo sfogo del 56enne, dal carattere timido, gentile e anche un po’ ansioso. “Non ce la faceva più. Mi ripeteva che i colleghi lo prendevano in giro, non gli credevano, dicevano che non stava bene con il cervello, che era malato immaginario, lo dileggiavano perché non si era mai sposato”, ha raccontato La Scala. E ancora: “Diceva di sentirsi perseguitato, di essere insultato perché aveva sempre vissuto con i genitori e non aveva una fidanzata“. Nelle lettere scritte dall’agente U.P. tra il 2005 e il 2006, quando era ancora in servizio a Verona, queste erano le umiliazioni subite dai precedenti colleghi. Nel 2008 è stato trasferito a Bari, e sebbene l’agente non abbia più affidato a carta e penna le sue angosce, la situazione continuava a rimanere sempre la stessa.

Sono stato il suo unico amico vero negli ultimi vent’anni“, prosegue La Scala, mentre racconta di aver ascoltato per anni le confidenze del poliziotto sulle “continue vessazioni: un vero e proprio caso di mobbing a sfondo sessuale“. Il legale sarà anche per questo indicato come principale testimone della drammatica vicenda, che ha ancora diversi punti lasciati in ombra. Tra questi, vi è la modalità con cui U.P. è riuscito a reperire l’arma. Nel giorno in cui ha deciso di farla finita, infatti, l’agente era in periodo di aspettativa: a tal proposito, la madre dell’agente e l’avvocato Antonio Portincasa si domandano come sia stato possibile per il 56enne procurarsi la pistola d’ordinanza, “che viene sistematicamente lasciata in armeria, nel carcere, al termine dell’orario di lavoro”.

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Sappe: “Siamo sconvolti”

La notizia del suicidio dell’agente è stata annunciata da una nota ufficiale pubblicata dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). Firmata da Donato Capece, segretario generale del Sappe, alla comunicazione è stato affidato il dolore di tutta l’associazione. “Siamo sconvolti: sembra non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo. L’uomo era benvoluto da tutti, allegro e simpatico. Non era sposato e assisteva i genitori, entrambi con grave handicap. Nessuno mai ha percepito un suo disagio. I carabinieri hanno trovato l’uomo all’interno della sua auto, nei pressi del cimitero di Bitritto”.

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“Fondamentale e necessario – prosegue la nota – è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Ripeto: i colleghi mi riferiscono che nessuno aveva percepito un suo eventuale disagio. Sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta. Sollecito un incontro urgente per attivare serie iniziative di contrasto al disagio dei poliziotti penitenziari”.

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