Resta estremamente complicata la situazione in Birmania con altre tensioni tra i militari e gruppi di disobbedienti, soprattutto a Rangoon
A distanza di tre settimane dal colpo di stato che ha rovesciato il governo della premier Aung San Suu Kyi, a breve chiamata a rispondere a processo di alcune accuse, la situazione resta molto tesa in tutta la Birmania.
Nuove proteste si sono tenute a Rangoon e a Naypydaw, la capitale del paese. Gruppi di persone, alcune migliaia, sono scese in piazza pacificamente per manifestare contro il governo militare che ha preso il controllo del paese. Ci sono state cariche della polizia nel tentativo di disperdere i dimostranti. In tutto il paese ormai da quindici giorni vicino coprifuoco e legge marziale. Testimoni neutrali, soprattutto giornalisti stranieri che non hanno ancora lasciato il paese, parlano di scontri e di persone contuse e leggermente ferite.
NetBlocks, una associazione che si occupa invece di monitorare le notizie e il traffico online, parla di numerosi e frequenti interruzioni del servizio di connessione. Veri e propri black-out di rete che impediscono una regolare comunicazione con la Birmania dove quasi tutti i social sono stati disabilitati.
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Si tratta di una terza notte consecutiva di blackout della rete Internet in Birmania: la scorsa notte le connessioni sarebbero state sospese per almeno otto ore.
In Birmania è presente anche una delegazione di funzionari ONU che stanno monitorando la situazione nel timore che le tensioni delle ultime ore possano scatenare un nuovo clima di violenza e di intimidazione.
Molti gli studenti in piazza. Uno di loro, intervistato da un inviato della AFP che in qualche modo è riuscito a fare avere il video alla sua agenzia di stampa, ha detto… “Dobbiamo combattere fino alla fine, mostrare la nostra unità e la nostra forza per porre fine al regime militare. La gente deve scendere in piazza”.
Tom Andrews, il relatore delle Nazioni Unite incaricato di seguire gli sviluppi del golpe, ha detto di temere nuove violenze dopo essere stato informato dell’invio di truppe blindate dalle regioni periferiche a Rangoon, ormai centro nevralgico della protesta.
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